Dal look informale del ‘68 allo scalone che illumina I 50 anni di un negozio-icona
Cassina rinnova l’indirizzo milanese con la firma di Urquiola
Il vecchio garage di via Durini a Milano, zona centrale ma senza un’identità precisa, la sera dell’11 dicembre 1968 mostrò il suo nuovo volto: divani, poltrone, imbottiti esposti su vari livelli — progetto di Mario Bellini — e un pubblico nuovo, interessato a quell’arte che si stava facendo largo nelle case degli italiani, il design. Per l’inaugurazione Ornella Vanoni tenne un concerto, il fumo riempiva i 1.200 metri quadrati sviluppati attorno a una cupola in vetro cemento. Era, è, lo showroom di Cassina, marchio brianzolo dell’arredo, emblema del made in Italy che conta nel suo catalogo pezzi di Vico Magistretti, Gio Ponti, Frank Lloyd Wright. Molto più di un negozio. Che per i suoi 50 anni si è appena regalato un ampliamento (i metri quadrati sono ora duemila, interrato compreso) e una nuova ristrutturazione dopo quelle di Clino Trini Castelli, Achille Castiglioni, Piero Lissoni. La firma, oggi, è di Patricia Urquiola.
Red carpet. In pietra: un percorso in seminato veneziano porta dal piano terra alla nuova scala che sale su su fino alla cupola in rame, ora aperta per creare uno spazio esterno che illumina l’area espositiva con luce naturale. Da qui è possibile accedere direttamente alle stanze del primo piano, che accoglie l’area riservata ai clienti, gli uffici, le sale per le riunioni. Spazio «social» con ampia scelta di volumi d’arte, design, architettura (pubblicati dalla «5 Continents Editions»): sulla libreria «Infinito» di Franco Albini fanno un certo effetto. Altro locale: per le riunioni fiume o semplicemente per quando «serve» c’è una cucina.
Salette, poltrone (comodissime), desk con cassettiere e computer, ma è tornando giù, al piano terra, che il mondo Cassina, illuminato dall’apertura della cupola, costellato da faretti, impreziosito dai simboli storici della casa, continua a esercitare il suo fascino, pezzi antichi rivisitati (il divano Maralunga di Magistretti, 1973, è diventato maxi, la sedia Beugel di Rietveld, 1927, è più ergonomica), altri reinseriti in catalogo, come la Leggera di Gio Ponti del 1952, altri completamente nuovi («Importante è non dimenticare, ma non siamo un museo»).
Essere fedeli alle proprie radici continuando a sperimentare, a innovare. «In fondo architettura è trovare soluzioni ai problemi», dice Patricia Urquiola citando Achille Castiglioni. Gianluca Armento, direttore generale di Cassina — «avevamo detto che saremmo stati pronti prima del Salone del Mobile e così è stato» — con orgoglio indica una nicchia. All’interno, la ricostruzione della stanza della Maison du Brésil (1959), progettata da Le Corbusier e Charlotte Perriand per la città universitaria di Parigi. «Piccole edizioni che tengono in vita i prodotti», sorride Urquiola. In armonia tra passato e futuro.