Speriamo che sia femmina Ma com’è difficile fare il papà
A un certo punto me l’hanno mollata in braccio. Fino ad allora, a parte incassare gli insulti della soave consorte in sala travaglio, non avevo fatto un granché. Ora lei, la figlia, era lì. Racchiusa come un gomitolo tra le mie mani, piangeva disperata. Io ho allungato la schiena e disteso il busto. Così lei, sdraiata sul mio petto, per incanto ha smesso di frignare.
Capirete bene che quell’improvvisa quiete risuonava nella mia psiche compromessa come qualcosa di magico. Col senno di poi posso dire che si trattò di un pisolino e non di un incantamento, a mezz’ora di vita ci sta. Tuttavia è stato il nostro primo contatto, e mi è servito a comprendere quale sarebbe stato il mio compito da quel momento in poi: avrei dovuto proteggerla, perché io sono suo padre.
Ora che il gomitolo ha compiuto nove anni e una sorellina di 5 più piccola la tallona, comincio a preoccuparmi per ciò che potrebbe accadere nel prossimo futuro. Ai rischi, agli ostacoli di cui è tappezzata la strada di una donna. Ci sono gli orchi e ci sono i falsi amici, e una parità rispetto all’altra metà del cielo (la mia!) tutt’altro che raggiunta. Al difficile mestiere di genitori di figlie femmine, Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, ha dedicato un libro: Come se tu non fossi femmina, in uscita per la Mondadori. È la storia di un viaggio che la giornalista ha fatto sola in auto con le due figlie verso la Croazia. Un viaggio che l’ha spinta a riflettere e a discutere con le proprie fanciulle, pressapoco coetanee delle mie, sulla condizione della donna, sul rapporto col proprio corpo, sull’ambizione e sull’equilibrismo necessario per conciliare famiglia e carriera. È giunta alla conclusione che la parte più difficile del «lavoro» sta nel trasmettere valori etici e una sana aspirazione all’autonomia di pensiero, mescolando nello stesso bicchiere obbedienza e ribellione: «È l’infanzia il momento in cui i nostri figli costruiscono il loro rapporto con l’autorità», annota: «Come educarli al rispetto, ma al contempo alla messa in discussione?». La domanda delle domande. Come faccio a farmi ubbidire e allo stesso tempo ad insegnare che qualche volta è necessario mandare a quel paese il prepotente di turno? Lungo il tragitto, Monfreda impartisce 50 lezioni, che però si sciolgono nella chiusa del libro in un augurio alla figlia: «Che un giorno, come me, ti ritrovi a ringraziare tua madre per tutto ciò che non ha fatto, che non ha detto, che non ha voluto insegnarti con le parole. Perché in quel suo non fare era racchiuso il dono più grande che una bambina possa ricevere, la libertà».
Nel giorno della festa del papà mi è balzata agli occhi la vignetta di uno strano gufo con gli occhiali, i baffi e il giornale sotto al braccio: «Quando hai un problema lui ha sempre la risposta giusta», ovvero: «Chiedi alla mamma». A parte gli scherzi, con le figlie femmine il rischio di fare scena muta c’è sempre. Il modello a cui cercheranno di conformarsi (o che al contrario vorranno esorcizzare), sarà sempre la madre. Ma è proprio qui che secondo me il papà trova un inaspettato motivo d’esistere. Il libro di Monfreda è ispirato a Cara Ijeawele, testo sacro del nuovo femminismo di Chimamanda Ngozi Adichie. Naturalmente si rivolge alle donne, le invita a non rinnegare se stesse in ossequio a una qualche convenzione. Ma è anche un invito agli uomini a fare la propria parte. Un rapporto equilibrato, quello tra la mamma e il papà, è il miglior insegnamento che posso dare alle mie ragazze. Il resto verrà da sé. Per proteggerle non posso fare altro che slegare poco alla volta il gomitolo e lasciarle camminare, libere sulle proprie gambe. ● Nel libro viene citato Cara Ijeawele, 15 consigli per crescere una figlia femmina di Chimamanda Ngozi Adichie, considerato assieme a Dovremmo essere tutti femministi il manifesto del nuovo femminismo