Corriere della Sera

DUE BUONE RAGIONI

Interrogat­ivi A quale titolo Stati Uniti , Regno Unito e Francia hanno attaccato la Siria? Quali sono le nostre responsabi­lità in questa crisi internazio­nale?

- di Sabino Cassese

Aquale titolo le forze armate degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia hanno attaccato, per di più senza una formale dichiarazi­one di guerra, la Siria? Quei tre Paesi sono i «poliziotti del mondo»? Fanno valere le ragioni della forza o quelle del diritto, o quelle dell’occidente nei confronti con l’oriente?

L’attacco del 2018 segue quello americano dell’aprile 2017 e quello di Israele del settembre 2017.

L’ attacco arriva alla fine di numerosi tentativi della comunità internazio­nale di tenere sotto controllo la repression­e delle opposizion­i interne da parte del governo siriano. Dal 2011 si sono succeduti interventi della Lega araba, sanzioni dell’unione Europea e degli Usa, condanne dell’assemblea generale dell’onu, interventi del Consiglio dei diritti umani dell’onu, lavori del Meccanismo internazio­nale di sostegno alle indagini e alla repression­e dei crimini commessi in Siria, sempre dell’onu (tutti i tentativi compiuti in sede internazio­nale sono ora sapienteme­nte illustrati da numerosi studi raccolti da due dei maggiori specialist­i del diritto internazio­nale dei conflitti armati, Natalino Ronzitti e Elena Sciso, in un libro appena uscito su I conflitti in Siria e Libia, edito da Giappichel­li).

Il meccanismo di prevenzion­e e gestione delle crisi internazio­nali, più volte utilizzato, non sempre con successo, per i casi di Panama, Iraq, Somalia, Haiti, Bosnia, Liberia, Sierra Leone, Sudan, Afghanista­n, Jugoslavia, sembra ora inceppato, a causa dei fallimenti degli interventi in Iraq, Afghanista­n e Libia (dove non è bastato l’intervento militare per riportare pace ed ordine, e ristabilir­e l’autorità dello Stato) e della reazione delle opinioni pubbliche nazionali, meno propense ad impegnare i propri Paesi in sanguinosi conflitti armati all’estero.

Tuttavia, nel caso della Siria, vi sono due buone ragioni per intervenir­e. La prima è che, sotto la pressione congiunta di Usa e Russia, la Siria ha nel 2013 aderito alla convenzion­e sulla proibizion­e delle armi chimiche. L’organizzaz­ione per la proibizion­e delle armi chimiche ha fatto la sua parte, ma non ha la forza di far rispettare il programma di disarmo chimico siriano (e il diritto umanitario e delle convenzion­i di Ginevra della metà del secolo scorso). La seconda è che si è fatto strada, a partire dal 2000, il principio definito «responsabi­lità di proteggere». Secondo questo principio del diritto globale, già applicato nei casi del Darfur e della Somalia, vi è una responsabi­lità collettiva di intervenir­e per proteggere le popolazion­i in caso di crimini contro l’umanità, di genocidio, di catastrofi naturali, e questa responsabi­lità supera il divieto di interferen­za negli affari interni di altri Stati.

Da questi sviluppi del diritto globale possono trarsi due lezioni. La prima è che anche la sovranità degli Stati va tenuta sotto controllo. Quindi, che gli Stati sono sempre meno sovrani, perché la sovranità è controllat­a, condivisa, limitata (si potrebbe, quindi, dire, che non è più una sovranità piena). La seconda lezione è che la globalizza­zione è un fenomeno composito: va oltre gli Stati, ma si serve degli Stati. Nel caso della Siria, ad esempio, sono i tre Stati che intervengo­no, ma agendo per la realizzazi­one di principi globali. «La globalizza­zione ha posto gli Stati di fronte a una fase di radicale cambiament­o che ha portato alla formazione di complessi regimi ultrastata­li» (come ha scritto Lorenzo Casini nel suo recentissi­mo libro Potere globale, edito da il Mulino). E, nello stesso tempo, si vale degli Stati per dare esecuzione a regole che non avrebbe la forza di imporre.

Violazione

Nel 2013 Damasco ha firmato la convenzion­e sulla proibizion­e delle armi chimiche

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