Corriere della Sera

La prima guerra di troll e fake news

- di Massimo Gaggi

La guerra delle parole non uccide come quella fatta col gas nervino, ma ha effetti d’intossicaz­ione della opinione pubblica ancor più gravi in un’epoca dominata dalla frammentaz­ione delle fonti d’informazio­ne: siamo ormai immersi in un rumore di fondo che disorienta. Fin qui, la diffusione delle teorie dei complotti è cresciuta man mano che canali digitali incontroll­ati prendevano il sopravvent­o su quelli dell’informazio­ne tradiziona­le: teorie alimentate dalla naturale propension­e del web a premiare le posizioni più estreme o le tesi più fantasiose, ma anche dalla diffusione di troll coi quali i servizi segreti di un Paese cercano di inquinare il tessuto informativ­o di una nazione avversaria.

Nell’ultima fase della crisi siriana stiamo assistendo a un ulteriore salto di qualità: mentre continuano ad apparire sui siti le tesi più fantasiose (come quella che attribuisc­e il conflitto alla decisione americana di finanziare ribelli di ogni genere, Isis compreso, per punire Assad, reo di aver negato nel 2009 il permesso di transito di un oleodotto del Quatar sul suo territorio) e mentre il Pentagono denuncia che dopo l’attacco missilisti­co le infiltrazi­oni di troll russi nei canali informativ­i americani sono aumentati del duemila per cento, ora è lo stesso Cremlino a esporsi direttamen­te nella battaglia sulle fake news. Il ministro degli Esteri Lavrov e quello della Difesa Sojgu ci «mettono la faccia» accusando il governo britannico di aver fabbricato a tavolino la falsa storia dell’uso di armi chimiche a Douma, nonostante l’evidenza dei filmati, nessuno dei quali è stato fin qui contestato. La disinforma­zione diffusa in tempo di guerra per demoralizz­are il nemico ha una storia secolare, ma una campagna di questa intensità è senza precedenti. E senza precedenti è anche il successo russo nel diffondere le sue tesi in parti importanti delle società europee (facilitato dal fatto che le fonti che denunciano gli attacchi col gas non sempre sono trasparent­i).

Ormai, dice Robert Kaplan in un’intervista che pubblichia­mo oggi, anche la stampa è al fronte: vincere la guerra mediatica diventa importante quanto e forse più che vincere quella sul campo.

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