«Socgen deve crescere e trasformarsi ancora Unicredit? Vedremo»
Oudéa: il risparmio è fiducia, non temiamo Big Tech
Il bancario del futuro? «Sarà il medico del risparmio», prevede Fréderic Oudéa, ceo della francese Société Générale, uno dei maggiori colossi bancari europei. Una banca che è in parte anche italiana, avendo come presidente Lorenzo Bini Smaghi, che a maggio sarà riconfermato per un secondo mandato e che in Italia, dove opera dal 1967, è presente sulle principali partite con il corporate e investiment banking guidato da Alessandro Gumier, da ultimo il project finance da 3,5 miliardi di Open Fiber per la rete a banda ultralarga.
Lei è in visita in Italia. Come giudica la situazione economica del Paese?
«L’italia come altri paesi nell’eurozona sta godendo di una migliore situazione economica, che continuerà ancora di più nella seconda metà del 2018. Il nostro scenario centrale rimane positivo, stiamo ancora beneficiando di buone condizioni monetarie grazie alla Bce. Ci sono però rischi prevalentemente geopolitici, per esempio dalla grave guerra commerciale sui dazi o da altre situazioni che non vediamo ancora».
Ha citato la Bce. Ma parliamo anche dell’addendum della Vigilanza con regole più stringenti per gli accantonamenti sui prestiti. Teme un problema di futuro accesso al credito?
«Oggi in Italia non ci sono più rischi sistemici ma se vogliamo completare l’unione bancaria dobbiamo anche concludere la pulizia dei bilanci dagli npl. Se le nuove regole riguarderanno i nuovi prestiti, specialmente ora che siamo in una fase positiva del ciclo credo che non ci saranno impatti. Certo, nel lungo termine l’impatto potrebbe essere più significativo, in una fase di calo dell’economia».
Non crede che la Bce, come chiede l’abi, dovrebbe investigare di più anche sui derivati o sugli asset illiquidi (di «livello 3») presenti nelle banche tedesche e francesi?
«No, non sono d’accordo. I temi non vanno confusi. I derivati e gli asset di livello 3 sono assolutamente controllati dai revisori, i modelli sono validati dalla Bce e non vedo quindi problemi. C’è invece
un problema di alta percentuale di default sui prestiti in certe geografie, ed è importante pulirli perché solo così i governi possono essere tranquilli di entrare nel terzo pilastro dell’unione bancaria che significa maggiore solidarietà con lo schema di garanzia sui depositi».
Parliamo del vostro piano strategico al 2020: volete ridisegnare la banca in senso
digitale. Come?
«Dobbiamo considerare che oggi contratti, prestiti, documenti circolano digitalmente. E questo impatta sui clienti, che vanno sempre meno nelle filiali, che chiudono. Quindi dobbiamo fornire servizi migliori e a un costo più basso, puntando specialmente su applicazioni mobili. Questo è particolarmente significativo per gli individui, meno per le imprese, perché per relazioni complesse come un’acquisizione o un investimento in un altro Paese, il mobile da solo non può fare tutto. In tre anni puntiamo a automatizzare l’80% dei processi nel retail banking. Ma avendo a mente anche l’impatto sociale sui dipendenti, formandoli o spostandoli su altre attività. Abbiamo anche lanciato l’iniziativa “imprenditorialità in banca”: invitiamo i dipendenti a proporre idee innovative, come se fossero una start up, siamo partiti da 300 progetti e su quelli che ci convincono agiremo come venture capitalist mettendo dei soldi e sviluppando i progetti».
Ma come saranno le banche tra dieci anni?
«Quello che rende speciale la banca è il risparmio. Carte di credito, pagamenti, conti correnti, sono transazioni: non serve per forza una persona, per svolgere queste attività. Ma sui risparmi, sugli investimenti, è come quando stai male e guardi internet per capire se hai l’influenza o un tumore ma poi, se hai dubbi, vai dal dottore. Ci saranno i sistemi automatizzati ma le persone saranno felici di avere una conferma da una persona di cui si fidano. Quindi vedo meno bancari, ma più qualificati, meno filiali ma più organizzazione, più valore aggiunto».
Quindi non teme la concorrenza di Amazon, Google, Apple?
«Potranno competere con noi sui servizi, specialmente di pagamento, possono inserirsi in certi punti della catena del valore, per esempio nel credito al consumo. Ma se vorranno entrare del risparmio, che è un’attività così importante per i governi e per i regolatori, dovranno rispettare le stesse regole sul capitale e sulla partecipazione alle garanzie sui depositi. E non credo lo vogliano. E poi: quando parliamo di risparmio parliamo di informazioni sensibili, di dati privati. Il cuore della relazione bancaria è questo e non è facile diventare un partner fidato che possa rimpiazzare la banca».
Specialmente adesso che si scopre come vengono venduti i dati personali…
«Esatto! Le persone diventano sempre più sensibili su questo tema, e le banche sono partner legittimati e di cui ci si fida».
Non posso non farle la domanda sulle aggregazioni bancaria in Europa. Molti vi vedono partner ideali di Unicredit….
«Mettiamola così: in uno scenario di unione bancaria avremo meno banche, serviranno economie di scala per certi business, investire in tecnologia e attrarre talenti. Il sistema europeo somiglierà sempre più a quello americano, Quindi il consolidamento ci sarà ma innanzitutto sarà domestico, perché porta efficienza. Adesso le nostre energie sono dedicate a razionalizzare le filiali, a trasformare il modello di business. Vogliamo essere in una posizione di forza per essere nel medio termine parte del consolidamento. Su Unicredit non posso commentare. Vedremo nel futuro. Ora la nostra priorità è da un lato crescere, dall’altro trasformarci».
Addendum della Vigilanza? Per completare l’unione bancaria dobbiamo finire la pulizia dei bilanci da npl. Se le nuove regole riguardano i nuovi prestiti non ci saranno impatti
Il piano strategico
In tre anni puntiamo a automatizzare l’80% dei processi nel retail banking