CANZONE FERTILE
L’appuntamento In Trentino torna Ortinparco, la kermesse che celebra il fiorire delle stagioni. Quello stesso culto che nel castello del Buonconsiglio divenne arte, oggi rivive nelle città LA CULTURA DELL’ORTO, IL CUORE DI UN INFINITO CICLO DELLA VITA
Pare che avesse la pancia, la chierica e lo sguardo perplesso. Pare che fosse un po’ triste, e megalomane. Iperattivo, grafomane, emanava continuamente decreti.
Era arrivato a Trento, eletto principe vescovo, quando potere politico e religioso coincidevano. Veniva da Vienna, dalla Cattedrale di Santo Stefano, e cercava forse un po’ di grandezza, quel lusso che dà il potere. O forse, soltanto, aveva gusto. Unì la torre pubblica dell’aquila al suo Castello; la popolazione non ne fu entusiasta.
In realtà, finirono per cacciarlo, qualche anno dopo, più per le tasse alte — sempre sgradite al Nord — che per quell’abuso, ma questa è un’altra storia. Giorgio scelse quella torre per alcuni suoi appartamenti, e per metterci il suo gigantesco tesoro, gioielli e opere, rivale di corti apparentemente più prestigiose.
Non gli bastava. Ristrutturò, sopraelevò. Soprattutto, decise nella torre di costruire una sala di rappresentanza, bella come nessuno l’aveva mai vista, lì in Trentino, e forse neanche a Vienna.
Si chiamava Giorgio di Lichtenstein. Era nato in Moravia, quella che è oggi la Repubblica Ceca. Scelse un pittore suo conterraneo, tale Venceslao; forse anche questo non fu gradito dalla sua popolazione. Me li immagino, quei
Tutto viene dalla terra, tutto dona la terra, il giallo delle messi, il blu dei fiori
Com’è fredda, d’inverno, che è da dubitare, bisogna fidarsi
due, che guardano le pareti ancora fresche di calce. Prima di dipingere, si sa, si può fare qualsiasi cosa, radunare tutto l’universo, e poi scegliere solo un volto, una città, un fiume. In qualche modo, loro scelsero di non scegliere. In quelle pareti, volevano mettere tutto quello che c’è fuori, tutta la loro terra, tutto il tempo, senza dimenticare niente.
Un ciclo dei mesi, ecco cosa voleva il principe vescovo Giorgio. Di cicli dei mesi ce ne sono parecchi, è quasi una moda, dall’antica Roma alle corti medievali. Ma Venceslao fa una scelta, forse suggerita dal pingue prelato.
Decide di dipingere i mesi uno dietro l’altro, distinti solo da piccole colonnine, ma ogni immagine continua in quella successiva, mezzo cacome stello a novembre e mezzo a dicembre, e anche le strade, continuano, le rocce, un pezzo di qua e un pezzo di là, così che alla fine tutto si richiude, si riparte da gennaio, ogni volta, all’infinito, come una ruota. Tutto è unito, tutto è insieme.
Ci sono i nobili, che si tirano le palle di neve, si fidanzano castamente, senza baci, vestiti come li si vedeva dalle carrozze, nelle cerimonie, sfarzosi e trend setter; sono belli e sfaticati, abbastanza irritanti. Ci sono poi tutti gli altri, tanti di più, che lavorano per sé stessi ma soprattutto per loro, con vesti più umili e gli sguardi sereni, per la nota e immortale ipocrisia del potere.
Noi, peraltro, già sappiamo andrà invece a finire, per Giorgio, che quei forconi verranno usati per altro. Ma è vero, in fondo, che c’è comunque una pace vera, la pace che dà la terra, il senso delle cose piccole, giuste, delle sorprese, lo scopo degli affanni.
Eccoli, quegli uomini, quelle donne, che zappano, falciano, rastrellano, colgono, si innamorano, sudano, aspettano la vita, la promessa eterna del ritorno, la condanna eterna del tempo. Con loro i buoi, i cavalli, gli asini, i cani, a generare ricchezza. Anzi, no, non è vero, gli affreschi di Giorgio, forse senza volerlo, dicono l’opposto; la ricchezza non è mica loro, non è di Giorgio, la ricchezza non è di nessuno. La ricchezza è della terra.
La fertilità, la possibilità delle cose nuove, la maternità. È la terra, tutto viene dalla terra, tutto dona la terra, il giallo delle messi, il blu dei fiori, i frutti rossicci, e il verde, tutto il verde, è la terra che fa i colori, che fa nascere tutto, sale sotto i piedi, la terra tende al cielo, si fa in mille forme, in mille gusti. Com’è soffice, e felice. E com’è aspra, invece, com’è tante cose che Venceslao non dipinge, anche se le sa.
Com’è fredda, d’inverno, che è da dubitare sulla vita, che bisogna fidarsi, e basta. E come insegna. Solo a guardarla, insegna tutto: il tempo, la pace, la crescita, la fine, la speranza, la centralità della delicatezza, la vigliaccheria della fretta.