Alle origini della rara condizione c’è un difetto genetico
In Italia sono più di 5 mila le persone che convivono con l’emofilia, una malattia rara di origine genetica, trasmessa per via femminile, che forse molti ricordano grazie a reminiscenze scolastiche. L’emofilia ha infatti influito in modo diretto sulle vicende storiche di Inghilterra, Russia e Spagna dalla metà del 1800, in quanto la regina Vittoria d’inghilterra (18191901), portatrice sana di emofilia B, generò un figlio malato e almeno due figlie portatrici che trasmisero il cromosoma difettoso alle future zarina di Russia e regina di Spagna.
Esistono due forme principali di emofilia: l’emofilia A e l’emofilia B. La prima è dovuta a un deficit del fattore VIII della coagulazione e colpisce circa una persona ogni 10 mila, la seconda al difetto del fattore IX e interessa un individuo ogni 30 mila.
«Chi è affetto da questa malattia è soggetto a emorragie che consistono principalmente in sanguinamenti articolari molto invalidanti e dolorosi chiamati emartri ea emorragie interne anche molto gravi, oltre a ecchimosi ed ematomi» chiarisce Adele mila
È il numero di persone che si calcola siano affette dalla patologia nel nostro Paese persona su 10 mila
È la stima della prevalenza per l’emofilia A, la forma più diffusa. Per l’emofilia B, è di un caso ogni 30 mila Giampaolo responsabile del Registro Nazionale Coagulopatie Congenite dell’istituto Superiore di Sanità.
Entrambe le forme di emofilia sono trasmesse secondo modalità legate al sesso, poiché i geni difettosi sono localizzati sul cromosoma X.
«Le donne hanno due cromosomi X e, praticamente, non hanno mai disturbi. Anche se hanno ereditato un cromosoma difettoso da un genitore sono protette dal cromosoma normale, che riesce a produrre una quantità di fattore VIII o IX sufficiente. Nelle donne l’emofilia è molto rara e può presentarsi solo in caso di figlie nate da un padre emofilico e una madre portatrice, o in altre condizioni eccezionali (nuova mutazione). I maschi hanno un solo cromosoma X e quando ereditano il cromosoma X difettoso dalla madre portatrice sviluppano l’emofilia. È per questo motivo che la malattia colpisce soprattutto i maschi, mentre le femmine sono in genere portatrici» puntualizza l’esperta.
L’emofilia A e l’emofilia B hanno sintomi pressoché identici e solo tramite gli esami di laboratorio, o conoscendo la storia familiare, il medico può differenziare questi due tipi di patologia.
In entrambi i casi, la gravità della malattia viene determinata in base alla complessità della carenza di attività del fattore coagulante.
«In mancanza di storia familiare i primi segnali delle forme gravi di emofilia si hanno intorno all’anno di vita. Si tratta soprattutto di lividi, dovuti a piccole emorragie sottocutanee— continua Adele Giampaolo —. Più insidiose sono le emorragie che si possono verificare a livello dei muscoli e delle articolazioni. Gli emartri, in assenza di un adeguato trattamento, possono causare deformità e risultare invalidanti, rendendo per esempio più difficoltosa la deambulazione» .
La terapia dell’emofilia consiste nella somministrazione di un prodotto che contiene il fattore della coagulazione carente. Il problema è che ciò è possibile solo per via endovenosa, cosa che costringe i pazienti affetti dalle forme più gravi ad almeno due (emofilia B) o tre (emofilia A) infusioni a settimana.
Il concentrato di fattore della coagulazione può essere un plasmaderivato, cioè ottenuto dal sangue di donatori, attraverso un processo di lavorazione industriale, oppure un prodotto ricombinante, ottenuto con tecniche di ingegneria genetica.
Esistono linee guida, elaborate dall’associazione italiana centri emofilia, che indicano protocolli terapeutici con cui affrontare la malattia. In genere nei bambini si prediligono i fattori ricombinanti, mentre negli emofilici di vecchia data si usano spesso i plasmaderivati, la cui sicurezza è garantita dai controlli sui donatori e dall’efficacia delle procedure di inattivazione virale durante la lavorazione industriale. In anni passati, purtroppo, molti emofilici trattati con questi preparati sono stati contagiati da virus presenti nel sangue dei donatori (HIV e virus dell’epatite B e C).
Chi soffre di forme lievi di emofilia non ha bisogno di infusioni frequenti di fattore della coagulazione; in genere il fattore mancante viene somministrato solo al bisogno, in caso di interventi chirurgici, dopo un incidente o un trauma importante.
Per i pazienti affetti da forme lievi di emofilia A è possibile utilizzare la desmopressina, un farmaco capace di determinare un aumento del 2530 per cento del fattore VIII nel plasma.
La buona notizia è che sono ora disponibili, soprattutto per l’emofilia B, nuovi farmaci a emivita maggiore che consentono di allungare gli intervalli tra le infusioni fino a 1015 giorni, con importanti ricadute sulla qualità della vita dei pazienti. alle domande sulle malattie del sangue all’indirizzo
forum.corrie re.it/sportello _cancro_ ematologia
I fattori mancanti Sono L’VIII, nel tipo A, e il IX , nel tipo B, che attivano il processo di coagulazione
Preferisce gli uomini Sono colpiti soprattutto i maschi mentre le femmine in genere sono portatrici sane