«Mio fratello voleva amore»
Addio al regista che ha firmato capolavori come «Padre padrone», Palma d’oro a Cannes Vittorio era il più grande della «coppia» Taviani È stato tra i maestri del cinema dell’impegno
e Vittorio Taviani (a sinistra) è morto ieri: aveva 88 anni. Lo ricorda il fratello Paolo (a destra): «Faceva film per essere amato».
La malattia che li aveva costretti, per la prima volta in 52 anni di carriera, a dividersi sul set di Una questione privata, ieri ha definitivamente spezzato una coppia — i «fratelli Taviani» — che ha attraversato il cinema italiano con coerenza e passione. Vittorio Taviani (quello con i baffi e un berrettino bretone sempre in testa) era il primogenito, nato il 20 settembre 1929 a San Miniato (Paolo due anni dopo, nel 1931) in una famiglia illuminata e antifascista che seppe trasmettere ai figli l’amore per la cultura attraverso la musica e il melodramma. Poi, nel dopoguerra, sarà il cinema a segnarli, a cominciare dalla visione di Paisà.
Dopo aver diretto una decina di cortometraggi esordiscono insieme a Valentino Orsini con Un uomo da bruciare (1962), storia di un sindacalista siciliano in lotta con la Mafia. Sempre in tre dirigono I fuorilegge del matrimonio (’63), dove la formula del film a episodi serve per sostenere la proposta di legge sul «piccolo divorzio». Separatisi da Orsini, dirigono Sovversivi (1967) sui dubbi di quattro militanti comunisti, uno interpretato da Lucio Dalla, e il più ambizioso (ma meno riuscito) Sotto il segno dello scorpione (’69) dove lo scontro tra rigore ideologico e compromessi realistici prende forma in un passato mitico.
Sarà con San Michele aveva un gallo (’72) e Allonsanfàn (’74) che il loro cinema trova una forma più efficace, capace di affrontare temi politici (l’anarchismo utopico nel primo, la coerenza dell’impegno nel secondo) attraverso storie e ambientazioni ottocentesche per guardare però alle speranze e ai fallimenti delle spinte sessantottine. Un’ambizione didattica che troverà la sua consacrazione con Padre padrone, sul riscatto del figlio di un pastore sardo, Palma d’oro a Cannes, la prima mai assegnata a un film coprodotto da una televisione (la Rai di Paolo Valmarana).
Il successo offre ai due fratelli la possibilità di girare film più ambiziosi come La notte di San Lorenzo (1982, premio speciale della giuria a Cannes) dove la lotta partigiana in Toscana è riletta attraverso squarci fantastici, come Kaos (1984) su alcune novelle di Pirandello o come Good Morning Babilonia (1987) sull’avventura di due scalpellini nella Hollywood degli anni Dieci.
Ma proprio i discutibili risultati di questo film finiscono per farli ripiegare verso opere segnate da un’eleganza estetica fine a se stessa (Il sole anche di notte, 1990, da Tolstoj; Fiorile, 1993; Tu ridi, 1998, ancora da Pirandello) o da una «impronta» televisiva (Le affinità elettive, 1996; Resurrezione, 2001; Luisa Sanfelice, 2003; La masseria delle allodole, 2007), finendo per pagare anche in termini di pubblico la coerenza con un’idea di cinema poco in sintonia con tempi.
Perché da sempre i Taviani hanno fatto film costruiti sull’idea di contraddizione: un cinema neorealista che critica i presupposti del neorealismo; un cinema politico che cerca strade non-ideologiche; un cinema «mitologico» che vuole ancorarsi alle concretezze del presente. Un cinema molto legato alla loro formazione marxista non ortodossa, attenta al «messaggio» ma sempre pronta a metterne in discussione i contenuti e le forme, che ha difeso la necessità di lottare contro tutti i poteri e che ha sempre chiesto all’arte l’impegno a confrontarsi con il presente, come sono riusciti a fare magnificamente con Cesare deve morire (2012, Orso d’oro a Berlino) e in forme più metaforiche ma ugualmente vive anche in Maraviglioso Boccaccio (2015, dal Decamerone).
Con Una questione privata (2017), l’ultimo loro film tratto dal romanzo di Fenoglio, diretto dal solo Paolo ma firmato da entrambi, la loro esperienza comune si è interrotta per la crudeltà della malattia. E che ci lascia l’immagine di una coppia legata da una sintonia straordinaria — ma non litigate mai? ho chiesto una volta: «Certo, ma non sul set, quando giochiamo a tennis» — lontana dalle mode e dai compromessi, orgogliosa delle loro riservatezza. La stessa che eviterà i funerali «spettacolo» e porterà alla cremazione di Vittorio in una privatissima cerimonia familiare.