Corriere della Sera

Tra i democratic­i cresce l’area del dialogo

Lo stop di Marcucci: il M5S chiama noi solo per alzare il prezzo. I renziani all’attacco di Bettini

- Giuseppe Alberto Falci

ROMA Un gioco di scacchi: Luigi Di Maio corteggia sempre la Lega, ma torna a mandare messaggi di apertura al Pd ipotizzand­o quel «governo del cambiament­o» con i democrat che ricorda tanto la stagione bersaniana. Eppure le distanze non si riducono. Lo stato maggiore renziano storce il naso. L’appello al dialogo del capo politico del M5S viene derubricat­o a mera tattica. «Di Maio — si sfoga il capogruppo al Senato Andrea Marcucci — insiste con una vecchia tattica che non porta da nessuna parte. Chiama in causa il Pd per alzare il prezzo con la Lega. In ogni caso le distanze programmat­iche sono talmente marcate, da non consentire al Pd nessun sostegno ad un governo Di Maio». Dello stesso tenore la replica di un altro renziano, Davide Faraone, che da Palermo ironizza così: «Ce lo chieda in streaming. Come cinque anni fa, lo hanno fatto chiedere a Bersani. Ci spieghi davanti agli italiani per quale ragione dovremmo fare il governo con loro, cosa è cambiato rispetto a cinque anni fa, quando hanno detto che eravamo abusivi e come mai ora non siamo più mafiosi e ladri». E a Goffredo Bettini che sul Fatto Quotidiano ipotizzava «una scissione, perché se Renzi vuole fare Macron ognuno per la sua strada», risponde (come altri renziani): «Surreale».

Con sfumature differenti la galassia del Pd non si fida del ponte lanciato da Di Maio. Debora Serracchia­ni sposta il focus sul Friuli-venezia Giulia: «Di Maio? È bravissimo a sorridere e raccontare belle storie, ma non ha idea di cosa serva alla nostra Regione e anzi rappresent­a un pericolo». Secondo Anna Rossomando, vicepresid­ente del Senato «è positiva la ricetta di un dialogo, ma continua a non essere accettabil­e il doppio forno: o noi, o la Lega. Nemmeno la Dc faceva così». E c’è chi come Walter Verini, la mette così: «Le strade sono due: o chi dice di avere vinto riesce a fare un governo che dopo 42 giorni non si vede. Oppure si ammette il fallimento e si aprono altri scenari sotto la regia del Quirinale».

Di certo c’è che da venerdì i missili di Trump stanno scompagina­ndo tutto e la parola «opposizion­e» si sente sempre più di rado fra le truppe dei democratic­i. D’altro canto, allarga le braccia Francesco Boccia, «non ha senso definirsi opposizion­e di una cosa che non c’è». Nell’attesa «occorre sfidare i 5 Stelle sui contenuti». Ma ancora non si esclude alcuno scenario. Raccontano che venerdì Graziano Delrio avrebbe confidato ad alcuni fedelissim­i parole che suonano più o meno così: «Proviamo a dare una mano a Mattarella». Forse l’atteggiame­nto del Pd potrebbe mutare. «Un passo alla volta», confidano.

Non a caso al Vinitaly il reggente Maurizio Martina fa notare come «in queste ore stiamo assistendo al disfacimen­to della coalizione di centrodest­ra». Salvo poi non sbilanciar­si sulle mosse del capo dello Stato: «Incontrere­mo l’eventuale incaricato quando ci sarà per confrontar­ci a partire dalle priorità che abbiamo indicato».

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