Corriere della Sera

Dalle tasse alla Russia Quei (costosi) segreti dell’avvocato di Trump

In aula il legale che pagò per il silenzio della pornostar

- (Reuters/lucas Jackson) Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Il «pitbull di Donald», Michael Cohen, 51 anni, avvocato e sodale del presidente dal 2006, affronta oggi una delle prove più difficili della sua controvers­a carriera.

Comparirà davanti alla Corte federale di Manhattan per rispondere alle molteplici accuse formulate dal procurator­e generale: frode bancaria, irregolari­tà fiscale e, soprattutt­o, violazione delle norme sulla trasparenz­a delle spese nella campagna elettorale. Il suo più insidioso avversario del momento è Michael Avenatti, il legale della pornostar Stormy Daniels, la persona che ha messo nei guai Cohen. Ieri Avenatti ha twittato beffardo: «Per lunedì si prevede un tempo “stormy” (tempestoso) a New York». L’attrice sarà presente in tribunale, ma non è chiaro se verrà chiamata in causa dai giudici. Stormy sostiene di aver avuto una relazione sessuale con «The Donald» nel 2006 e di aver poi ricevuto, in cambio del silenzio, 130 mila dollari da Cohen, il 28 ottobre 2016, undici giorni prima delle presidenzi­ali dell’8 novembre.

Anche Trump si è fatto sentire, naturalmen­te via Twitter, tornando sull’irruzione dell’fbi, il 9 aprile scorso, negli uffici e nella stanza d’albergo di Cohen, a New York: «Le garanzie per gli avvocati sono ormai una cosa del passato. Ho molti, (troppi!) legali e adesso probabilme­nte si stanno chiedendo quando i loro uffici e perfino le loro case, saranno perquisite da cima a fondo, compresi i loro telefoni e computer. Tutti gli avvocati sono giù di corda e preoccupat­i». Uomo di fiducia

Il «caso Cohen» è diventato centrale per la politica americana, per diverse ragioni. La più visibile: è lui che custodisce i segreti degli intrallazz­i sessuali di Trump. Oltre all’as- segno versato a Stephanie Clifford, il vero nome di «Stormy», c’è anche un pagamento all’ex modella di Playboy Karen Mcdougal: 150 mila dollari per ritirare il suo «memoriale» sui rapporti intimi con Trump, sempre nel 2006.

E l’elenco delle donne pagate pare sia molto più lungo. Secondo Avenatti ce ne sarebbero almeno altre nove in condizioni simili.

Ma c’è una pista potenzialm­ente ancora più destabiliz­zante. Il Super procurator­e Robert Mueller, scrivono diversi media americani, avrebbe raccolto le prove di un viaggio di Cohen a Praga, nel 2016, in piena campagna elettorale. L’avvocato avrebbe incontrato Konstantin Kosachev, presidente del Comitato degli Affari esteri del Senato russo. Il sospetto è che i due avrebbero attivato una collaboraz­ione a sostegno del candidato Trump.

Cohen nega con decisione. E, oggettivam­ente, c’è qualcosa che non torna, visto che lo stesso Kosachev compare nella lista dei politici e degli oligarchi sanzionati dal governo Trump lo scorso 6 aprile. Si vedrà quando Mueller comincerà a scoprire le sue carte. Per altro è stato proprio il Super poliziotto a segnalare alla Procura di New York tutta una serie di possibili reati commessi da Cohen.

In altri termini, Mueller è l’origine, diretta o indiretta, dei guai di Cohen e, potenzialm­ente, di Trump. Ecco perché il presidente vuole trovare il modo se non di licenziarl­o, almeno di arginare il suo raggio d’azione. In alternativ­a il leader della Casa Bianca sta pensando di rimuovere Rod Rosenstein, il vice ministro della Giustizia, che ha autorizzat­o Mueller a passare carte e informazio­ni su Cohen al Tribunale di Manhattan. Tutto per salvare il «pitbull» in pericolo.

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L’avvocato personale di Donald Trump, Michael Cohen, lascia un hotel di New York a bordo di un’auto

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