Vibeke e le cavie al salbutamolo: la ricerca che può salvare Froome
«Sul caso Froome non posso proprio aiutarla: sono parte in causa».
Vibeke Backer, direttrice dell’unità di Ricerca Respiratoria del Bispebjerg Hospital di Copenaghen, è cortese ma ferma. Non risponderà a una sola domanda sulla positività al salbutamolo del ciclista Chris Froome e sui misteri legati all’uso/abuso di questo broncodilatatore (noto come Ventolin) utilizzato dal 71% degli atleti norvegesi (tutti, incluso il riabilitato fuoriclasse del fondo Sundby, apparentemente afflitti da asma) ai recenti Giochi olimpici di Pyeongchang, in Corea. Ricercatrice e pneumologa, la Backer sarà testimone chiave — e forse «arma segreta» per la difesa — nel processo che l’unione ciclistica sta provando a istruire contro il quattro volte vincitore del Tour.
Da anni al Bispebjerg decine di giovani atleti-cavia sono trattati con dosi massicce di salbutamolo e sottoposti a sofisticate analisi di laboratorio per scoprire se la sostanza (autorizzata entro certi dosaggi dall’agenzia antidoping Wada per curare l’asma) ha effetti dopanti su atleti/malati. La risposta dei test è sì: «Negli sport di resistenza aumenta in maniera significativa la potenza e contrasta la fatica» spiega uno studio danese agli atti dell’european Respiratory Society. Al Bispebjerg c’è un secondo filone di ricerca: somministrare dosi massicce di salbutamolo sotto sforzo per capire se i limiti Wada che determinano la positività sono affidabili o meno.
Sostanza unica nella farmacopea sportiva, il salbutamolo è consentito fino a un massimo di 1600 microgrammi al giorno pari a 16 «puff», quattro volte quanto prescritto agli asmatici dal bugiardino del farmaco. Come si smaschera chi bara? Se nelle urine ci sono oltre 1200 ng/ml l’atleta deve dimostrare di non aver ecceduto nelle dosi. Se non ci riesce, rischia una squalifica com’è successo a Diego Ulissi. Il 7 settembre 2017, dopo la tappa che gli ha consegnato la Vuelta, Froome ha fatto registrare 2000 ng/ml, il massimo mai rilevato a un controllo. L’inglese, oggi al via del Tour of The Alps in Trentino («La mia positività è una questione che deve rimanere privata» ha risposto secco), non è stato sospeso dall’attività e, in attesa del processo, è una mina vagante per rivali e organizzatori: in caso di condanna le classifiche delle corse cui ha partecipato andranno riscritte. Ma una ricerca della Backer pubblicata sulla rivista Drug Testing & Analysis può soccorrerlo: dopo aver assunto il dosaggio massimo di Ventolin, 8 dei 15 atleti-cavia testati in Danimarca, in condizioni di disidratazione simili a quelle della Vuelta, hanno superato i limiti Wada e, in due casi, anche quelli di Froome. Le conclusioni della ricerca paiono un epitaffio per l’accusa: «Pur assumendo quantità legali di salbutamolo, un atleta può risultare non negativo ai controlli». Ingiustamente, è ovvio.
Nella comunità scientifica, c’è chi si ribella. «Com’è possibile — si chiede Fabien Pilard, ricercatore pneumologo dell’università di Tolosa — che nessuno sollevi il problema etico con la Wada che a un atleta sia permesso di assumere tre/quattro volte la dose consigliata a un asmatico col rischio di effetti collaterali? Come si fa a non capire che la norma stimola ad assumere alti dosaggi per migliorare la prestazione?». Abbiamo girato la questione a tre ricercatori danesi cofirmatari degli studi di Bispebjerg, ricevendo in risposta tre «no comment».