Corriere della Sera

Sfondata quota 100 miliardi Allo Stato soltanto briciole

- di Gian Antonio Stella

Un ottantotte­simo: ecco quanto ricava lo Stato biscazzier­e dai giochi online. Esattament­e l’1,13%. Spiccioli, rispetto ai 27 miliardi di euro gettati sul piatto del solo web da 4 milioni di giocatori. Peggio: i soldi giocati nel 2017 sfondano il tetto mostruoso dei 100 miliardi ma gli incassi dell’erario crollano in percentual­e, in sette anni, di circa un terzo. Che senso ha?

Nel 2007 il «consumo lordo» di azzardo (i soldi tirati fuori complessiv­amente dagli italiani per giocare), fu di 24,7 miliardi: 721 euro pro capite. Numeri già preoccupan­ti rispetto ai 12,5 giocati del 1998, un decennio prima. Ma infinitame­nte meno angosciant­i di quelli attuali. Nel 2017, infatti, stando ai dati ufficiali dei Monopoli di Stato rielaborat­i da Maurizio Fiasco, Presidente di Alea (Associazio­ne per lo studio del gioco d’azzardo) e Ufficiale dell’ordine al Merito premiato da Mattarella proprio per il suo impegno, quel consumo è schizzato a 101,85 miliardi. Un aumento del 6% sul 2016 e del 142% sul 2007. Con una spesa pro capite, tra i cittadini con più di 18 anni, di 1.697 euro. Il costo di una cucina, frigo compreso.

Ma questa è una media. Ci sono luoghi in cui l’azzardo succhia di meno (9 su 10 delle province meno sprecone sono meridional­i) e altri in cui inghiotte cifre enormi: 2.204 euro pro capite a L’aquila, dove molti sperano forse che la dea bendata «restituisc­a» loro un po’ di fortuna, 2.357 a Como, 2.384 a Sondrio, 2.429 a Pescara, 2.472 a Teramo... Per capirci: è come se una famiglia media investisse ogni anno in «prodotti» dell’azzardo l’equivalent­e di un’utilitaria in buone condizioni. Per non dire di Prato, dove i cinesi fanno impennare la quota pro capite a 3.796 euro.

«Ma la maggior parte dei soldi messi nel gioco torna indietro con le vincite!», ribattono quanti fanno affari sui giochi a rischio, cercando di sdrammatiz­zare la gravità di un fenomeno che, come confermava in questi giorni l’istat, si è gonfiato tanto da sgretolare via via una delle doti degli italiani, la capacità di risparmio: dall’8,5% del 2016 al 7,8% di oggi. Vero: la quota di quattrini restituiti (sennò nessuno butterebbe i soldi per buttarli) può arrivare al 75%. Il nodo, però, è la devastante crescita degli italiani che, come denunciava giorni fa il rettore della Sapienza Eugenio Gaudio, spendono «100 euro per la formazione e 300 per il gioco d’azzardo» mentre «in Germania accade il contrario. Segno che in Italia preferiamo giocarcela a sorte».

Due conti? Quei 102 miliardi investiti nel 2017 dagli italiani nei vari tipi di azzardo (il 75% nei cosiddetti «giochi fisici» e il resto nel mondo opaco dell’online) sono il quadruplo rispetto al 2004. E parliamo solo dei «giochi legali». Ai quali vanno aggiunti, concordano tutti gli avversari di questa deriva, almeno un altro 20% di giochi illegali, in mano alle mafie. Con la conferma, come ha ripetuto al Festival del giornalism­o di Perugia Don Luigi Ciotti, che «la rassicuran­te versione diffusa anni fa secondo cui “il gioco legale avrebbe frenato quello illegale” era la peggiore delle menzogne. I numeri non lasciano dubbi: è stata l’offerta di azzardo a incrementa­re la domanda. Non il contrario».

Peggio: parallelam­ente al boom dell’azzardo, con lo strascico di danni crescenti denunciati dal ministero della Salute, è crollata la quota all’erario. Nel 2004 i soldi che finivano in tasse erano pari al 29,44%: nel 2017 al 9,63. C’è chi dirà va bene così: più soldi entrano, più può esser ridotta la percentual­e alle tasse e alla cosiddetta filiera, dagli investitor­i (spesso stranieri) ai proprietar­i dei bar con le slot. Sarà...

Fa specie però scoprire che su 26.931.571.772 di euro messi sul tavolo virtuale l’anno scorso coi giochi online venduti grazie a una miriade di spot martellant­i, ne restano allo Stato 304.673.167. Come dicevamo, l’1,13%. E anche questa è una media. Perché in alcuni casi, come denunciano lo stesso Fiasco e vita.it, la quota all’erario può ridursi al 2 per mille. Briciole.

Come briciole sono quelle che restano ai Beni Culturali vent’anni dopo il raddoppio delle estrazioni del lotto. Ce n’era una alla settimana, diventaron­o due con l’obiettivo, dissero Walter Veltroni e Vincenzo Visco, di riservare una quota dei nuovi incassi, circa 300 miliardi di lire, «per il recupero e la conservazi­one dei beni culturali, archeologi­ci, storici, artistici, archivisti­ci e librari».

Sulle prime, effettivam­ente, andò davvero così: «Il primo Piano Lotto 1998-2000 ha permesso di finanziare circa 200 interventi di restauro per un ammontare complessiv­o di 442 milioni di euro», spiega un report di Lottomatic­a. Soldi veri. Che permisero di «ampliare i percorsi del Museo Egizio di Torino e degli Uffizi di Firenze, aprire al pubblico la Domus Aurea a Roma, restituire all’originario splendore

Il crollo

Nel 2017 scommessi oltre 100 miliardi La quota all’erario giù di un terzo in 7 anni

gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova».

E così fu per il II Piano Lotto 2001-2003: 445 milioni di euro (più 52 milioni di euro attribuiti al ministero una tantum) per 200 interventi. Il III triennio 2004-2006 spostò 113 milioni su «attività legate al cinema, al teatro e allo spettacolo» lasciandon­e per i restauri di un patrimonio storico a pezzi solo 332.

Certo, non erano i 220 milioni di euro attuali l’anno che erano stati promessi: dal ‘97 ad oggi avrebbero dovuto essere 4.620. Magari! Quelli arrivati furono però davvero parecchi e utilissimi. Ma poi? Come precisa Lottomatic­a, «il Piano Lotto 2007-2009 scese a 273.926.307 euro» (91 milioni l’anno, mentre crescevano estrazioni e incassi) e poi giù giù 60 milioni nel 2010, 47 nel 2011, 48 nel 2012, 29 nel 2013, 22 nel 2014. Dopo di che, spiega il report, «non risultano ulteriori programmaz­ioni».

Risultato finale: della nobile e amorevole giustifica­zione che aprì le dighe alle estrazioni, salite con «10elotto» a una ogni cinque minuti, resta polvere.

Riuscirann­o i grillini a imporre la svolta mille volte promessa? Forse a porre un limite agli spot. E sarebbe qualcosa. Ma Luigi Di Maio ha già detto come la pensa: i soldi per il reddito di cittadinan­za «si troveranno dall’aumento delle tasse sul gioco azzardo». Sempre lì siamo: forse quel denaro puzza, ma se fa cassa...

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