Armi chimiche, ora è scontro sui controlli negati
Ancora bloccati gli ispettori dell’opac, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche: siriani e russi non consentirebbero l’accesso all’area di Douma, il luogo della strage attribuita alle armi chimiche di Assad. Protestano americani e inglesi. Dal Cremlino replicano: non abbiamo alterato il luogo di un attacco che è stato inscenato. La Casa Bianca ridimensiona le parole di Emmanuel Macron che aveva dichiarato di aver convinto Donald Trump a rimanere nel Paese. Intanto il New York Times rivela: sono stati i jet israeliani a bombardare gli avamposti iraniani in Siria, nel deserto tra Homs e Palmira.
Del generale che di più ammira ama citare i passaggi dedicati al comando: «Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio». Una massima di de Gaulle che Ehud Barak — da capo di Stato Maggiore, primo ministro e poi ministro della Difesa — ha imposto come dottrina militare di Israele. Mutismo strategico rispettato da tutti e che sembra essere stato infranto da una voce anonima dentro le forze armate. «È la prima volta che colpiamo in diretta obiettivi iraniani operativi, uomini e caserme», dice la fonte a Thomas Friedman, editorialista del New York Times. E conferma così quello che il Pentagono e il ministero della Difesa russo avevano già dichiarato: all’alba del 9 aprile sono stati i jet israeliani a bombardare quella che sulle mappe dell’aviazione è marcata come base T-4, nel deserto siriano tra Homs e Palmira. Da lì gli iraniani, identificati dall’ufficiale israeliano come membri dell’unità speciale Quds, avevano telepilotato un drone armato di esplosivo che si era infiltrato in Israele, la rappresaglia di Tsahal ne aveva uccisi sette. A livello ufficiale la dottrina Barak è rimasta nei fatti intatta: dopo che l’articolo è stato pubblicato, i portavoce delle forze armate sono intervenuti per precisare che «la caratterizzazione del raid è inaccurata» e che in ogni caso Israele non se ne prende la responsabilità. In realtà non è neppure la prima missione contro «obiettivi iraniani operativi»: a metà gennaio del 2015 un generale era stato ucciso dallo stesso missile che ha centrato la jeep su cui viaggiava Jihad Mugniyeh, al comando degli Hezbollah libanesi incaricati di organizzare un’avanguardia sul confine tra Siria e lo Stato ebraico. In questi giorni il premier Netanyahu ha perfino ordinato ai suoi ministri di non commentare i raid alleati contro il regime di Assad. Il «silenzio» protegge la volontà di continuare a colpire gli avamposti iraniani in Siria («non permetteremo ai russi di imporci restrizioni», ha proclamato ieri Avigdor Liberman, il ministro della Difesa) e serve a preparare quella che Friedman definisce «la prossima guerra reale: Iran contro Israele».