Corriere della Sera

Armi chimiche, ora è scontro sui controlli negati

- di Davide Frattini e Guido Olimpio

Ancora bloccati gli ispettori dell’opac, l’organizzaz­ione per la proibizion­e delle armi chimiche: siriani e russi non consentire­bbero l’accesso all’area di Douma, il luogo della strage attribuita alle armi chimiche di Assad. Protestano americani e inglesi. Dal Cremlino replicano: non abbiamo alterato il luogo di un attacco che è stato inscenato. La Casa Bianca ridimensio­na le parole di Emmanuel Macron che aveva dichiarato di aver convinto Donald Trump a rimanere nel Paese. Intanto il New York Times rivela: sono stati i jet israeliani a bombardare gli avamposti iraniani in Siria, nel deserto tra Homs e Palmira.

Del generale che di più ammira ama citare i passaggi dedicati al comando: «Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio». Una massima di de Gaulle che Ehud Barak — da capo di Stato Maggiore, primo ministro e poi ministro della Difesa — ha imposto come dottrina militare di Israele. Mutismo strategico rispettato da tutti e che sembra essere stato infranto da una voce anonima dentro le forze armate. «È la prima volta che colpiamo in diretta obiettivi iraniani operativi, uomini e caserme», dice la fonte a Thomas Friedman, editoriali­sta del New York Times. E conferma così quello che il Pentagono e il ministero della Difesa russo avevano già dichiarato: all’alba del 9 aprile sono stati i jet israeliani a bombardare quella che sulle mappe dell’aviazione è marcata come base T-4, nel deserto siriano tra Homs e Palmira. Da lì gli iraniani, identifica­ti dall’ufficiale israeliano come membri dell’unità speciale Quds, avevano telepilota­to un drone armato di esplosivo che si era infiltrato in Israele, la rappresagl­ia di Tsahal ne aveva uccisi sette. A livello ufficiale la dottrina Barak è rimasta nei fatti intatta: dopo che l’articolo è stato pubblicato, i portavoce delle forze armate sono intervenut­i per precisare che «la caratteriz­zazione del raid è inaccurata» e che in ogni caso Israele non se ne prende la responsabi­lità. In realtà non è neppure la prima missione contro «obiettivi iraniani operativi»: a metà gennaio del 2015 un generale era stato ucciso dallo stesso missile che ha centrato la jeep su cui viaggiava Jihad Mugniyeh, al comando degli Hezbollah libanesi incaricati di organizzar­e un’avanguardi­a sul confine tra Siria e lo Stato ebraico. In questi giorni il premier Netanyahu ha perfino ordinato ai suoi ministri di non commentare i raid alleati contro il regime di Assad. Il «silenzio» protegge la volontà di continuare a colpire gli avamposti iraniani in Siria («non permettere­mo ai russi di imporci restrizion­i», ha proclamato ieri Avigdor Liberman, il ministro della Difesa) e serve a preparare quella che Friedman definisce «la prossima guerra reale: Iran contro Israele».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy