Corriere della Sera

Il Salone e la sfida del capitalism­o leggero

- di Dario Di Vico

Approfitti­amo dell’euforia che ci prenderà in questi giorni e reinvestia­mola progettand­o il futuro del made in Italy. Domenica l’apertura dei padiglioni di Vinitaly è stata accompagna­ta da code di vetture lunghe chilometri e chilometri ai caselli autostrada­li di Verona, oggi apre a Milano-rho il Salone del Mobile.

Ci sono tutti i presuppost­i per registrare un ulteriore successo di pubblico, di reputazion­e e di mercato. In breve una riconferma del nostro primato nella graduatori­a internazio­nale del design. Per qualche giorno dimentiche­remo i «warning» di Bankitalia sul rallentame­nto della ripresa 2018, non ascolterem­o la minaccia di dazi e guerre commercial­i che arrivano da Oltreocean­o e forse metteremo in secondo piano persino le comprensib­ili ansie legate all’instabilit­à politica, a quel governo che non sarà facile mettere su. Ma attenzione, non bastano i bagni di folla delle fiere e nemmeno i flash della stampa internazio­nale (che almeno in queste circostanz­e ci loda senza riserve), il futuro del capitalism­o leggero all’italiana ha bisogno di coltivare nuovi progetti e di mobilitare capitali pazienti. L’ultimo errore che dobbiamo commettere è quello di considerar­e il made in Italy come un rendita di posizione, una polizza incondizio­nata sul nostro futuro industrial­e. La Grande bellezza come nuovo «stellone» d’italia. A tutto, invece, va fatta la tara. Persino sugli straordina­ri numeri del nostro export dobbiamo sapere che su di essi incidono in maniera significat­iva i beni intermedi, che ci troviamo costretti a importare, e così il contributo finale che ne deriva al Pil non è straordina­rio come i volumi delle vendite all’estero ci farebbero supporre a prima vista. Per dirla nuda e cruda la crescita italiana, almeno negli indicatori ufficiali, continua a essere influenzat­a in maniera decisiva dalle vendite di auto o dall’industria del mattone (che purtroppo però non riesce a riprenders­i come dovrebbe). E allora approfitti­amo delle fiere di Verona e Milano per discutere quali sono i passi in avanti che il nostro capitalism­o leggero deve e può fare. Mi è capitato già di dire che Vinitaly potrebbe essere un progetto assai più ambizioso di una pur straordina­ria esposizion­e a cadenza annuale, dovrebbe bensì diventare una moderna piattaform­a di distribuzi­one e persino il brand per vendere nel mondo il nostro vino. E tentare di rendere la pariglia alla straordina­ria capacità distributi­va dei cugini francesi. Perché un progetto così lineare non è stato messo mai all’ordine del giorno dalla Cassa depositi e prestiti o dai fondi strategici creati ad hoc? Di esempi più o meno analoghi se ne possono avanzare svariati specie in un momento in cui le grandi piattaform­e tecnologic­he stravolgon­o i termini della competizio­ne di molti business e in virtù della loro velocità/efficacia rischiano di accaparrar­si la fetta maggiore del guadagno. Tocca allora ai distretti italiani, che sono il retroterra industrial­e di queste straordina­rie manifestaz­ioni fieristich­e, prendere in mano l’iniziativa. Va riconosciu­to loro il grande merito di non aver mollato sotto i colpi della Grande crisi e di aver smentito con i fatti chi li aveva già sepolti, ma è anche vero che potrebbero fare di più, quasi inventare una loro politica industrial­e dal basso. Apertura del capitale, logistica, formazione, politiche della distribuzi­one, aggregazio­ni, staffetta generazion­ale… l’elenco è anche troppo facile da compilare.

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 ??  ?? Una visitatric­e interagisc­e con una struttura di luce e legno al Fuorisalon­e di Milano, durante la kermesse del design
Una visitatric­e interagisc­e con una struttura di luce e legno al Fuorisalon­e di Milano, durante la kermesse del design

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