Mutande rosse
Un’associazione islamica prende in affitto un teatro nel Savonese per un convegno sul dialogo interreligioso e lo trasforma in un monologo. Chiede e ottiene di allontanare dalla vista il quadro di una donna che ha il grave torto di sfidare le correnti d’aria con la schiena scoperta. Ma soprattutto chiede e ottiene di avvolgere in un drappo rosso le parti basse di una statua che raffigura l’eroe greco Epaminonda. L’associazione si professa moderata e non vi è motivo di dubitare che lo sia. Anche perché altrimenti un soggetto come Epaminonda, che selezionava i soldati del battaglione sacro di Tebe in base ai legami amorosi tra loro, avrebbe preteso di ricoprirlo dalla testa ai piedi.
Naturalmente i convegnisti avrebbero potuto scegliere altre sale prive di nudi, invece di trasformare a loro uso e consumo quella che ai loro occhi suonava blasfema. Naturalmente avrebbero almeno potuto evitare di nascondersi dietro formule cavillose, come invece hanno fatto affermando di avere censurato Epaminonda non per «ragioni culturali», cioè religiose, ma per «esigenze cerimoniali», in quanto le sue gambe nude avrebbero stonato con «l’ambientazione marocchina». Naturalmente gli affittuari del teatro avrebbero potuto rifiutarsi di sottoporre la sala e se stessi a un ridimensionamento così avvilente per la nostra cultura e per tutto ciò che è costata in termini di sofferenza e talento. Ma perché qualcuno riesca a mettere le braghe all’arte ci vuole qualcun altro che cali le sue.