IL MOVIMENTO CERCA LA SPONDA DEL QUIRINALE
Imalintesi stanno prendendo la forma di contrasti. Tra il candidato premier dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio e il leader del centrodestra Matteo Salvini, suo potenziale alleato, i rapporti sembrano incrinati. Gli attriti si stanno moltiplicando, e in pubblico: si tratti di premiership, di alleanze, e perfino di tempi della trattativa. Di Maio è intenzionato a assecondare i tempi stretti chiesti dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ha avallato l’analisi secondo la quale dopo quarantatré giorni dal voto è urgente formare un governo. Si tratta di un altro schiaffo a Salvini che dice di volere aspettare le Regionali del 22 e 29 aprile. «Se le vinco, faccio il governo in quindici giorni», assicura il capo della Lega: affermazioni che hanno provocato reazioni ironiche. Il fatto che Di Maio abbia anche bollato come «irresponsabili» le dichiarazioni filorusse di Salvini sulla Siria sono un ulteriore elemento di scontro. Tanto più che a Otto e Mezzo l’esponente del M5S ha lodato il premier Paolo Gentiloni, per avere deciso di «non partecipare all’attacco» di Usa, Gran Bretagna e Francia in Siria. Ma non c’è solo questo riconoscimento. Di Maio ha usato parole rispettose e diplomatiche nei confronti del Pd, partito che vede in fermento. E con il tono di chi lancia un ultimatum ha avvertito Salvini: «Aspetto qualche giorno e poi uno dei due forni si chiude». «Forno», inteso come offerta di alleanza parallela a quella rivolta ai dem. Difficile capire quanto ci sia di tattica e quanto di sicurezza, ai confini della sicumera, in questo atteggiamento. La sensazione è che i Cinque Stelle stiano cercando di apparire moderati e responsabili, per rivendicare Palazzo Chigi per Di Maio. Eppure, la pretesa di avere il premier appare in sé come un ostacolo alla soluzione della crisi e all’opera di persuasione del Quirinale. L’unica spiegazione è che il Movimento confidi sull’impossibilità di essere escluso; e speri nella sponda di Mattarella per un esecutivo che rifletta il risultato del voto del 4 marzo. Rilanciare il veto contro Silvio Berlusconi e Forza Italia, però, rende la soluzione più difficile. È sempre più evidente che Salvini non vuole né forse può rompere con l’alleato storico. I contrasti nel centrodestra sono corposi. Ma non prevedono rotture. Dunque, quando il M5S insiste nel disconoscere il centrodestra come coalizione, cerca di esaltare il suo 32 per cento contro il 37 altrui. La ricaduta di questa pantomima non si vede ancora. E se esiste un gioco delle parti tra Di Maio e Salvini, ultimamente è tra avversari, non tra alleati. Sempre che non spunti un imprevisto tale da obbligare tutti a muoversi per evitare nuove elezioni: un epilogo che servirebbe solo a scaricare sul Paese l’impotenza dei partiti.