Corriere della Sera

Quando si «ritirano» gli Usa? Tre ipotesi, Iran permettend­o

- Guido Olimpio

Irussi e gli iraniani li ha invitati Assad perché non poteva farne a meno. Senza sarebbe crollato. Gli Usa si sono autoinvita­ti. I francesi e gli inglesi si sono accodati. I turchi sono «entrati» in chiave anti-curda. Ognuno si è preso la sua fetta in uno stato sovrano debilitato da 7 anni di guerra e dalle sue politiche precedenti. Aspetti riemersi quando il presidente Macron ha sostenuto — per poi rimangiars­elo — di aver convinto Trump a mantenere il contingent­e in terra siriana.

I russi

Oltre alle basi hanno circa 4 mila uomini più i mercenari della compagnia Wagner, elementi spediti a rinforzare i governativ­i e incaricati di svolgere il lavoro in prima linea. Presenza che garantisce due cose: 1) Evita troppe perdite tra i regolari, poco tollerate dall’opinione pubblica. 2) Permette di giocare sul loro ruolo quando sorgono problemi: li presentano come «privati». Cosa avvenuta quando non pochi sono stati uccisi durante un attacco contro posizioni alleate. Il Cremlino non abbandoner­à mai la Siria, gli serve per ribadire la propria influenza, tuttavia vuole evitare trappole e pantani. La fretta con la quale Putin ha detto che tutto era finito lo dimostra, così come i ripetuti annunci di un «ritiro». In realtà le navi continuano a portare materiale.

Gli alleati

Dispongono di 2 mila soldati, in gran parte delle unità speciali. Sono concentrat­i nel nord della Siria, a Rumeila, Manbij, Arab Isk, area di Deir ez Zour. Altri a sudest, regione di al Tanf. A loro si aggiungono i contractor­s, che si occupano di interventi che vanno dalla logistica alle azioni belliche. L’ultimo dato ufficiale indica 5.508 tra Siria e Iraq, con 400 impegnati in attività di «sicurezza».

La Casa Bianca ha chiesto un rientro al più presto, mossa rallentata dal Pentagono. Da qui l’ipotesi di una missione a tempo. Dai sei mesi in avanti, molto dipenderà da quanto accade. Tre gli scenari: 1) Ci resteranno molto per avere comunque un ruolo regionale. 2) Per contrastar­e la spinta iraniana. 3) Per fiancheggi­are, nel breve, i curdi siriani i quali però rischiano di essere sacrificat­i. L’ala interventi­sta Usa preme per continuare. The Donald non la vede così e ritiene che debbano essere gli alleati regionali a farsi carico dell’onere. Non solo come «scarponi sul terreno», ma anche come risorse per la ricostruzi­one. Da qui l’invito ai sauditi a sborsare 4 miliardi di dollari. I francesi sono pure loro nel cantone curdo, in particolar­e Kobane e Ayn Isa. Poi i britannici che, in omaggio allo stile dei commandos Sas, sono meno visibili. Per scelta e tradizione. Infine i volontari accorsi da Europa e Stati Uniti in difesa del Kurdistan siriano: molti di loro sono morti in prima linea combattend­o insieme ai guerriglie­ri Ypg, contrastat­i dai turchi. Anche Ankara ha una doppia agenda: fermare i separatist­i, disporre di un’opzione sul futuro della Siria.

La legione sciita

In contrappos­izione ai mujaheddin sunniti, locali e stranieri, agisce la «legione» composta da diverse migliaia di combattent­i inquadrati da Iran e Hezbollah libanese. Sono afghani, pachistani, iracheni che la propaganda di Teheran presenta come «martiri caduti nella difesa di Zeynab», importante santuario sciita vicino a Damasco. Sono in Siria per assistere i governativ­i, ma domani possono diventare parte dello scontro con Israele. Infatti Gerusalemm­e — convinta che gli Usa si disimpegne­ranno — ha colpito spesso depositi e installazi­oni, tipo la base T4. Il contingent­e iraniano conta su numerose installazi­oni (Azzan, l’aeroporto della capitale, a est) e cerca di ampliarle per creare un corridoio che unisca territorio iraniano, Iraq, Libano. Un’analisi uscita sul New York Times ha ribadito ciò che sappiamo: sarà questa la prossima guerra, Israele contro Iran, «meglio allacciars­i le cinture di sicurezza».

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Un siriano con la foto di Assad a Damasco a un corteo pro regime, contro i raid di Usa, Francia e Gran Bretagna (Epa)
In piazza Un siriano con la foto di Assad a Damasco a un corteo pro regime, contro i raid di Usa, Francia e Gran Bretagna (Epa)

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