Corriere della Sera

Si chiude il processo sulla «trattativa» L’ultima lite in aula tra avvocati e pm

Lo Stato scese realmente a patti con la mafia?i giudici da ieri in camera di consiglio

- Di Giovanni Bianconi

«La corte si ritira per deliberare». Dopo quattro anni e undici mesi di udienze si chiude il processo che tenta di riscrivere la storia dei rapporti tra lo Stato e la mafia. Anzi, l’ha già riscritta, perché l’indagine e il dibattimen­to hanno svelato episodi e retroscena prima sconosciut­i, rimasti negli archivi o nei ricordi dei testimoni che li hanno resi noti solo quando s’è cominciato a parlare di «trattativa». Il problema che dovrà sciogliere la corte d’assise di Palermo da ieri mattina riunita in camera di consiglio è se in quelle ricostruzi­oni si annida un reato oppure no; se tre boss superstiti dopo la morte di Provenzano e Riina, insieme a tre ex carabinier­i del Ros e due politici (uno è Marcello Dell’utri, che sta scontando una pena per concorso esterno in associazio­ne mafiosa; l’altro, Calogero Mannino, è stato assolto nel giudizio di primo grado con il rito abbreviato) hanno ricattato le istituzion­i mettendo in atto o recapitand­o ● Tre degli imputati nel processo per la presunta trattativa Stato-mafia. Dall’alto, l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’utri, 76 anni, l’ex capo del Ros, Mario Mori, 78 anni, e l’ex ministro Nicola Mancino, 86 anni le minacce di Cosa nostra: o allentate la presa, soprattutt­o attenuando il «carcere duro» per i detenuti di mafia, o continuere­mo con le stragi.

Questa è la sintesi del processo (e dell’inchiesta avviata dieci anni fa) che ha avuto momenti di grande clamore e altissima tensione istituzion­ali, fino al conflitto tra Procura di Palermo e presidenza della Repubblica, entrato nelle stanze del Quirinale per ascoltare la testimonia­nza dell’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano. Un’iniziativa giudiziari­a che ha alimentato «veleni e polemiche», come ha detto nella requisitor­ia il pubblico ministero Nino Di Matteo, proseguite anche nelle arringhe difensive.

«Questo processo non serve ad accertare un reato che nessuno ha commesso — ha detto il legale di Antonio Subranni e Mario Mori, numeri 1 e 2 del Ros tra il 1992 e il 1993 —, ma per mascariare (sporcare per delegittim­are, ndr) gli ufficiali dell’arma. Non è fondato su nessuna prova; è una vera persecuzio­ne contro Mori per il quale si è arrivati a chiedere 15 anni di carcere, appena uno in meno del boss Bagarella. È un tentativo di ricostruir­e non la verità, ma la storia secondo un’impostazio­ne politico-ideologica».

L’ex ministro

«A posteriori sarebbe stato preferibil­e non telefonare a D’ambrosio»

Parole dure pronunciat­e dall’avvocato Basilio Milio, forte delle assoluzion­i definitive di Mori in due giudizi collegati, per la mancata perquisizi­one nel covo di Riina nel ’93 e la mancata cattura di Provenzano nel ’95. «Se Riina fosse ancora vivo avrebbe gioito di tutto questo, e io mi sono un po’ vergognato di essere italiano», ha aggiunto il legale. Al quale ieri ha risposto il pm Vittorio Teresi: «Non replichiam­o perché la corte può già contare su un’ampia panoramica per valutare che l’accusa è provata e non è stata scalfita dalle argomentaz­ioni

La difesa

«Questo processo non serve ad accertare un reato, ma a mascariare gli ufficiali dell’arma»

delle difese. Le espression­i estreme e inopportun­amente polemiche di alcuni difensori, che hanno travalicat­o la dialettica processual­e, le rispediamo al mittente». Subito dopo Milio ha provato a smorzare i toni: «Se qualcuno si è offeso me ne scuso».

Scontro chiuso con l’onore delle armi, almeno fino alla sentenza che arriverà nei prossimi giorni e riguarderà anche un altro imputato «eccellente», l’ottantasei­enne ex ministro dell’interno (nonché ex presidente del Senato e vice del Consiglio superiore della magistratu­ra) Nicola Mancino. Per lui l’accusa è di falsa testimonia­nza: ha negato quanto dichiarato dall’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, e cioè che il Guardasigi­lli si lamentò con lui che i carabinier­i del Ros avevano agganciato l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. Tuttavia il suo ingresso al Viminale a luglio del ’92 al posto di Vincenzo Scotti fu, secondo i pm, un passaggio fondamenta­le per ammorbidir­e il contrasto alla mafia dopo la strage di Capaci.

Mancino, che ha rivolto ieri un ultimo appello alla corte, ha sempre negato: «Il mio impegno contro la criminalit­à organizzat­a è sempre stato chiaro e netto, ho chiesto lo scioglimen­to di 54 consigli comunali per infiltrazi­oni mafiose». Il contrasto con Martelli per lui non significa aver mentito: «Perché io e non lui, che all’inizio nemmeno ricordava se del comportame­nto dei Ros si era lamentato con me o con Scotti?». Anche Mancino ha dalla sua una sentenza, quella del tribunale dove avrebbe commesso la falsa testimonia­nza che non la rilevò, e sollevò dubbi sia sulla versione dell’ex Guardasigi­lli che sul movente dell’avvicendam­ento tra Scotti e Mancino. Dalle telefonate dell’ex ministro con l’allora consiglier­e giuridico del Quirinale Loris D’ambrosio nacque il conflitto istituzion­ale tra la Procura e Napolitano, e adesso Mancino ammette: «A posteriori, sarebbe stato preferibil­e non telefonare a D’ambrosio. Io però non chiesi mai l’avocazione dell’inchiesta, ma solo il coordiname­nto tra le sei Procure coinvolte».

 ??  ?? A Pozzallo La nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva nel porto di Pozzallo
A Pozzallo La nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva nel porto di Pozzallo
 ??  ?? La scheda
La scheda
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy