«Io, fuoriclasse mancato del tennis A una testa calda il talento non basta»
Palpacelli a 16 anni stupì Panatta: gli dissi di no, poi sono stato schiavo della droga
Chi è
● Roberto Palpacelli, «Palpa» per gli amici, 48 anni, un figlio di 7, nato a Perugia, era una promessa del tennis italiano. A 16 anni stupì Panatta e Bertolucci che lo volevano al centro federale di Riano. Lui però rifiutò
● Palpacelli non scala mai le classifiche del tennis ma nei circoli di provincia le sue partite diventano leggendarie. Gli amici e gli esperti gli riconoscono un talento straordinario
● A 15 anni inizia a fare uso di stupefacenti. Gioca, smette, ricomincia sempre a buon livello, poi ricade ancora nella dipendenza
● A 20 anni uno sponsor gli vuole pagare ogni spesa, a patto che salga nelle classifiche mondiali. Palpacelli va in India, Spagna, Jugoslavia. Dopo 4 mesi l’azienda scioglie il contratto perché il tennista fa uso di sostanze
● A 26 anni sfida il croato Ivan Ljubicic, allora numero 190 al mondo (salirà fino al numero 3). Perde 6-4 al terzo set: la considera la sua prova migliore
● Oggi lavora al circolo del Dopolavoro ferroviario di San Benedetto. Non ha né il titolo di maestro né di istruttore di tennis, perché non ha mai pagato i bollettini
Chi l’ha vista giocare assicura che lei avesse un talento straordinario.
«Dicevano che l’esito delle partite dipendeva da me, gli altri speravano nella mia giornata no».
Che cosa è andato storto?
«Giocare a tennis per me era divertimento, non l’ho mai pensato come un lavoro. In realtà non ci ho creduto fino in fondo».
Pentito?
«A 20 anni non avevo la testa che ho oggi. Dove sarei potuto arrivare? Onestamente, non lo so. Il talento non basta, serve molto altro».
Roberto Palpacelli è un nome che ai più non dirà niente. Ma nei circoli di provincia, nei tornei dove si lotta per conquistare una ribalta nazionale, i suoi incontri sono diventati leggendari. Come i suoi colpi, come l’abilità nel fingere di mancare la palla, poi recuperare velocemente e fare punto. «Ma si dicono anche tante cose non vere. Per esempio che avrei battuto per tre volte Boris Becker. Falso, impossibile. Mi infastidisce quando circolano particolari inventati».
Nato a Perugia, 48 anni, una vita accidentata, Palpacelli, detto «Palpa» per gli amici, o da ragazzino anche «Virgola» per quel suo fisico esile, non ha mai amato mettersi in mostra. Dopo un lungo inseguimento ha deciso di raccontare la sua storia a Federico Ferrero sulla rivista Il tennis italiano. E ora, come se si fosse liberato, accetta di rispondere anche al Corriere. «Anche se provo imbarazzo. Non penso di aver fatto cose così importanti...».
A 16 anni però stupì Panatta e Bertolucci che la volevano nel centro federale di Riano?
«E io dissi di no. Non mi andava di sacrificarmi. Ero istintivo, sopra le righe...».
Colpa anche della vita sregolata fuori dal campo.
«A 14 anni la prima canna, a 15 iniziai a tirare eroina, a 16 il primo buco. La mia purtroppo è stata una vita da tossico. Giocavo, poi ero costretto a smettere e mi ritrovavo in mezzo a una strada. Riprendevo ogni volta, e sempre da un buon livello. Era incredibile, anche inspiegabile».
È stato anche in comunità.
«Dai 27 ai 30 anni. Prima ero molto introverso, lì mi sono aperto. Ero molto sensibile, anche troppo. Sono diventato di pietra. Ho sbattuto il muso tante volte, mi ha aiutato a crescere».
E il tennis?
«È stata la mia valvola di salvezza. Ho rischiato di morire una decina di volte, evidentemente il Padreterno non mi ha voluto».
La più grande occasione buttata al vento?
«A vent’anni, ero a Bologna. Avevo trovato uno sponsor
dche mi pagava tutto, io dovevo solo giocare e salire in classifica. Andai in India, Spagna, Jugoslavia, ero da solo e con tanti soldi. Potete immaginare come finì. Dopo quattro mesi, quando capirono che facevo uso di sostanze, sciolsero il contratto».
La migliore partita?
«Avevo 26 anni, ero messo male, di lì a poco sarei entrato in comunità. Sfidai il croato Ivan Ljubicic, che allora era numero 190 al mondo e che arrivò a essere il numero tre. Persi 6-4 al terzo set, ma ero felice. Dimostrai di poter essere alla pari con uno dei giocatori più forti al mondo».
Qualche soddisfazione se l’è presa più avanti?
«Con la Maggioni di San Benedetto abbiamo vinto due volte il campionato a squadre di A2, ho conquistato il titolo italiano over 35 e anche quello Campionati Gli italiani a squadre di A2 vinti con la società Maggioni di San Benedetto Set
La durata della sfida persa con il croato Ivan Ljubicic (che fu numero 3 del mondo) over 40. Con il Circolo tennis di Mosciano, nel Teramano, dove ho trovato tanti amici, siamo saliti dalla serie C alla A2 in tre anni».
E adesso?
«Per ora non faccio tornei, ho problemi alla schiena. Do consigli al circolo del Dopolavoro ferroviario di San Benedetto. Non ho il titolo di maestro, perché mi hanno buttato fuori, e nemmeno quello di istruttore, perché non ho pagato i bollettini. È dura arrivare a fine mese. Ogni giorno mi alzo alle 3 e mezzo per prendere il treno delle 5 e arrivare in tempo in campo».
Ha un figlio di 7 anni. Andrea. Gioca a tennis?
«Per ora fa minibasket».
Che cosa vorrebbe insegnargli?
«Intanto la passione per lo sport. E, quando sarà più grande, l’importanza dei valori sani. È quello che ripeto anche ai ragazzi del circolo: state attenti a non farvi trascinare dalla cattive compagnie, andate dritto per la vostra strada. E abbiate sempre rispetto dell’avversario in campo e di chi vi sta di fronte nella vita».
Pentito? Non ci ho creduto fino in fondo. Ero sopra le righe, non mi andava di sacrificarmi