Perché ci colpisce un uomo fragile che ha sprecato il suo dono
Se fosse solo tennis, sarebbe più facile. Roberto Palpacelli è stato un essere umano fragile baciato dal talento. Non abbiamo perso un Federer. Al massimo, con l’approssimazione che comporta il giudizio tecnico su un fu adolescente di 16 anni, abbiamo perso un giocatore dal potenziale a metà strada tra Andreas Seppi e Fabio Fognini, uno che avrebbe potuto diventare un ottimo professionista. Non è un caso unico, il suo. L’italia delle racchette è maestra nel perdersi per strada talenti che da ragazzi spaccano il mondo facendo incetta di titoli juniores. È un problema ormai cronico che riguarda la gestione del passaggio al mondo del professionismo. Insomma, un tema delicato ma importante solo per gli aficionados di questo sport. A quei livelli, il «Palpa» non ci è neppure arrivato. Nei molti anni in cui ha continuato a non andare a letto presto la sera, facendosi male in ogni modo possibile, è diventato suo malgrado una leggenda per intenditori. Non si sapeva nulla di lui. Il mistero alimentava un culto sotterraneo persino esagerato. Come riconosce per primo il diretto interessato. Fino a quando per conto de Il tennis italiano il collega Federico Ferrero è riuscito a farlo venire allo scoperto. L’articolo, anticipato sul sito del Corriere, è diventato il più letto del giorno. E non solo perché è un bellissimo «pezzo». Forse la storia di Palpacelli racconta qualcosa a tutti, non solo a noi malati di tennis. Mette tristezza, leggere di un ragazzo che poteva essere tutto e ha rischiato di diventare niente. C’è sempre questa frase, pomposa e spesso falsa, che lo sport è metafora della vita. I tanti Palpacelli sparsi per i campi di periferia, non solo nel tennis, ci dicono quanto sia difficile per un ragazzo affrontare l’adolescenza. E ci ricordano che lo sport non è fatto solo di luci della ribalta, di semidei predestinati come Federer o CR7. Nei film che ogni tanto ci consolano, alle discese agli inferi corrisponde sempre il ritorno dell’eroe. A Palpacelli non è successo. Non c’è nessun trofeo sollevato sul centrale di Wimbledon. C’è solo un uomo che ha buttato via il suo dono, ha sofferto e fatto soffrire. Ma infine è riuscito a venire a patti con se stesso e con i propri demoni. E si accontenta. Perché è quello che a un certo punto facciamo tutti. Perché è così che vanno le cose nella vita vera.