«COMPETIZIONE STRATEGICA» IL TIMORE DEGLI USA DI TRUMP
Scenari Nel documento sulla Difesa nazionale firmato dal capo del Pentagono Jim Mattis le linee guida americane per la sicurezza nel «disordine globale»
Ancora di più dopo i bombardamenti voluti dagli Stati Uniti in Siria, è necessario cercare di capire meglio che cosa ha in mente l’amministrazione americana con la quale il mondo dovrà convivere, salvo imprevisti, quasi altri tre anni.
Donald Trump è di certo ondivago. Le sue mosse verso la Russia — compreso l’altolà mirato che ha dato con i missili lanciati sabato vicino Damasco e Homs — possono derivare da un’esigenza mimetica. In sostanza, dal bisogno di apparire risoluto verso il Cremlino, che appoggia il dittatore siriano Bashar el Assad, per far dimenticare di essere stato aiutato nelle elezioni per la Casa Bianca dalle incursioni informatiche compiute ai danni della campagna della democratica Hillary Clinton, attribuite a Mosca. Merita però attenzione uno dei segmenti emersi, pubblici, della linea politica dell’amministrazione Trump. È il caso della sintesi della 2018 National Defense Strategy, Strategia di difesa nazionale del 2018, firmata dal segretario alla Difesa, il generale Jim Mattis. Undici pagine che riassumono un testo classificato.
«La competizione strategica tra Stati, non il terrorismo, è adesso la prima preoccupazione nella sicurezza nazionale degli Usa», c’è scritto in questo documento. La valutazione può sembrare scabrosa a tanti di coloro che hanno sentito descrivere spesso, negli ultimi anni, stragi e attentati del terrorismo fondamentalista islamico. Così comunque la pensa il capo del Pentagono, e non è il solo. «Siamo di fronte a un accresciuto disordine globale, caratterizzato dal declino del vecchio ordine basato su regole, e ciò crea un ambiente di sicurezza più complesso e volatile di qualsiasi altro che abbiamo conosciuto nella memoria recente», si sottolinea nel documento.
Mattis usa un termine che nel lessico comunista indicava i riformisti accusati di tradire la rivoluzione. Il generale chiama Cina e Russia «poteri revisionisti», e impiega l’aggettivo per affermare che i due Paesi si prefiggono di tornare potenti come in passato: un tempo imperi, «vogliono dare forma a un mondo coerente con il loro modello autoritario, guadagnando autorità di veto sulle decisioni di altre nazioni nei campi economico, diplomatico e di sicurezza». Dunque «minano» da dentro il sistema in declino.
La Strategia è poco diplomatica. Sebbene in qualche riga traspaia per l’unica superpotenza mondiale il desiderio di una postura un po’ gorillesca, l’analisi sui rischi per la sicurezza sembra realistica. Secondo Mattis gli Stati Uniti vengono da «un periodo di atrofia strategica, consapevoli del fatto che il nostro vantaggio militare competitivo si sta erodendo».
Due tesi in particolare meritano attenzione. La prima: «Per decenni gli Stati Uniti hanno goduto di una superiorità preponderante in ogni dominio operativo. In genere potevamo schierare le nostre forze quando volevamo, assemblarle dove volevamo e operare come volevamo. Oggi ogni settore è contestato: aria, terra, mare, spazio e cyberspazio». La seconda: per tutelare gli interessi nazionali statunitensi occorrerà reagire alle azioni dei «poteri revisionisti» e di «regimi canaglia», come Corea del Nord e Iran, lavorando «accanto, con e attraverso i nostri alleati e partner». Quel «through our allies» — attraverso i nostri alleati — potrebbe dirla lunga sull’intenzione di non fermarsi davanti a ritrosie.
Filo conduttore del documento è la constatazione che lo sviluppo delle tecnologie cambia il modo di fare le guerre e accentua l’importanza di propaganda e offensive non solo militari: «Il successo non va più al Paese che sviluppa prima una nuova tecnologia, bensì piuttosto a quella che meglio la integra e adatta il suo modo di combattere». Imperativo che ne consegue: «Essere strategicamente prevedibili, ma operativamente imprevedibili».
Prima dei bombardamenti compiuti con Francia e Gran Bretagna, Trump aveva manifestato l’intenzione di un futuro ritiro dei suoi militari dalla Siria, circa 2.000. La strategia complessiva che in effetti seguirà nel mondo resta enigmatica, tuttavia la traiettoria indicata dal documento forse non va ignorata.
Conseguenze Lo sviluppo delle tecnologie cambia il modo di fare le guerre