MILO DJUKANOVIC L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO DEI DINOSAURI BALCANICI
Fu fervente jugoslavo mentre imperava la Jugoslavia, amico di Milosevic se comandava Milosevic, durante le guerre si schierò contro la Croazia di Tudjman e la Bosnia di Izetbegovic, poi si fece antiserbo quando la Serbia perse e filoccidentale non appena l’occidente fu una chance. Lunga vita a Milo Djukanovic. Dopo 27 anni di potere, lui che ne ha appena 56, è l’ultimo sopravvissuto dei dinosauri balcanici e non ha intenzione d’estinguersi: il 54,1% gli ha ridato la presidenza del Montenegro ed evitato il ballottaggio contro avversari inesistenti. Elezioni regolari, certifica l’osce, anche se avvantaggiate da un potere che in un quarto di secolo non ha mai mollato nulla. Premier infinite volte, presidente per la seconda, alla più alta (anche fisicamente) carica dello Stato si perdona ormai tutto: le vecchie inchieste italiane sul contrabbando, l’accusa di governare un Paese nepotista e corrotto, le pressioni su media, il controllo dei giudici («non li temo, li ho nominati tutti io»). Perché il grande leader del piccolo Montenegro è riuscito a diventare un simbolo della resistenza a Putin e alle mire russe sull’area e il misterioso tentativo d’assassinarlo nel 2016, attribuito proprio a Mosca, ha sgombrato di colpo tutti gli ostacoli all’integrazione di Podgorica: nella Nato, dov’è già stata accolta, e nella Ue dove Milo ha promesso d’entrare in cinque anni. Dalla Turchia che punta sulla Bosnia musulmana alla Cina che vuole riaprire la Via della Seta, dallo Zar amico slavo agli europei che ci puntano soldi, quanti giocatori s’affollano al tavolo del Balkan Game. L’adriatico è un irrinunciabile bastione, i 300 km di coste un’occasione turistica, i narcotrafficanti una minaccia. «Siamo amici», ha brindato Putin qualche giorno fa, con l’ambasciatore di Djukanovic. Non la dà a bere: il Montenegro vuol essere il suo amaro calice.
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