Le mine che in Siria uccidono i bambini
«L’uso dei gas è inammissibile e crudele, soprattutto verso i bambini che sono i primi a morire», mi dice Roberta Petrucci di Medici senza frontiere (Msf), giovane pediatra appena rientrata dalla Siria, «è necessario parlarne, ma vorrei che si ricordassero anche i tanti bambini che muoiono per le mine antiuomo sparse anche dove si presume che ci sia la pace». I giovani coraggiosi di Msf agiscono oggi soprattutto nel Nord orientale della Siria, dove la gente rientra dalle zone di guerra. Ma le insidie sono ovunque, e mirano, sembra incredibile, a terrorizzare la popolazione colpendo prima di tutto i più piccoli. Con una diabolica astuzia hanno riempito di mine gli oggetti più innocui: pentole, teiere, scatole di pomodori. I bambini li prendono in mano e saltano per aria. «Ma chi ha sparso queste mine antiuomo?» chiedo. «Non lo sappiamo con sicurezza, ma certamente si trovano lì dopo l’andata via dell’esercito islamico». Quindi terrorismo in ritirata. Ma se fosse lo stesso Bashar al Assad che in questi giorni ha sparso il gas nervino? «Non possiamo dirlo. Ricordiamo però che nel 2013 abbiamo avuto negli ospedali siriani migliaia di persone con sintomi di avvelenamento da gas neurotossici». Le chiedo di raccontarmi qualche caso che l’ha particolarmente impressionata. Lei mi riferisce di una famiglia di contadini, padre, madre e cinque figlie fra i 4 e i 13 anni, che spesso stavano sul tetto a stendere i panni o sistemare la legna. Una mattina una delle bambine vede per terra un oggetto che luccica, si avvicina e quello esplode: sono ordigni nuovi, sensibili ai movimenti del corpo umano. «La più piccola ha perso le gambe, la seconda ha avuto una gamba maciullata, la terza un piede frantumato, la quarta e la quinta hanno subito ferite e fratture in tutto il corpo». Come impedire questo massacro? «Noi non ci occupiamo di politica. Ma chiediamo che si rispetti il diritto internazionale umanitario che protegge i civili e le strutture sanitarie». In che modo? «Mantenendo alta la capacità di indignarsi attraverso i mezzi di comunicazione, creando corridoi umanitari, e lasciando passare le medicine per gli ospedali. Noi siamo lì a curare i feriti, ma senza il sostegno della società civile e dell’opinione pubblica mondiale diventa ogni giorno più difficile». Per questo Msf ha indetto una campagna «Umani» in cui si chiede di «riportare al centro l’atto umanitario nella sua essenza, quella dell’aiuto incondizionato che muove da persona a persona».
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