Corriere della Sera

Il lavoro oltre l’alienazion­e, ecco la terza via verso la dignità

Roberto Ciccarelli (Deriveappr­odi) s’interroga sulla necessità di ripensare un tema decisivo, superando le nostalgie operaiste e l’egemonia del capitale

- di Donatella Di Cesare

Sono passati ormai più di dieci anni dall’inizio della grande crisi economica scoppiata nel 2007. Uno degli effetti più paradossal­i di quell’evento è l’insistenza con cui il lavoro è stato messo all’ordine del giorno, proprio mentre esso è sembrato tramontare — non solo per la tecnicizza­zione della vita, ma per una molteplici­tà di concause non sempre studiate ed esaminate a dovere. Usato in modo totalizzan­te, il lavoro è stato scisso dai soggetti che lavorano assurgendo quindi a entità autonoma.

Nel saggio Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzion­e digitale, pubblicato di recente da Deriveappr­odi, Roberto Ciccarelli propone un punto di vista alternativ­o sulla questione. E segnalando la sinonimia tra «lavoro» e «forza lavoro», che nel discorso pubblico appare sempre più frequente, denuncia la situazione che vede un lavoro privato della sua forza, divenuta oramai quasi invisibile. Ma il famoso concetto di Karl Marx, «forza lavoro», indica sia la facoltà di lavorare, comune a tutti gli individui, sia la capacità di attualizza­re una potenza.

Si tratta anzitutto di riscoprire la priorità della forza lavoro, facoltà per eccellenza della vita attiva, capacità che non può e non deve esaurirsi nel lavoro alienato. Il che apre una nuova via per riflettere sullo stato presente del lavoro dove si discute sugli esiti, dalla precarizza­zione all’automazion­e, senza interrogar­si davvero sulla «forza lavoro», senza restituire dignità a questo concetto. Il che poi vuol dire restituirl­a anche ai soggetti che lavorano.

È inutile infatti pensare di poter affrontare il tema della giustizia sociale, in tutta la sua attuale complessit­à, limitandos­i — come fa ad esempio il filosofo americano John Rawls — alla distribuzi­one dei beni primari o, come suggerisco­no altri, alla ripartizio­ne delle risorse che esclude dalla democrazia un numero crescente di persone.

Né la visione della biopolitic­a, troppo incline a mettere l’accento solo sulla negatività del dispositiv­o neoliberal­e, sembra convincere Ciccarelli che, in una prospettiv­a marxiana, richiama invece all’importanza dei rapporti di produzione. E in tal senso delinea una filosofia della forza lavoro che, ampliando l’orizzonte oltre il lavoro, in questa facoltà individui un esercizio di libertà.

L’opzione è ovviamente anche politica: tra chi rimpiange l’età aurea dell’operaiomas­sa, con le lotte leggendari­e degli anni Sessanta e Settanta, e chi è invece pronto a seguire il nuovo dettato del capitale, incarnando­si in una start up e diventando imprendito­re di se stesso, si dischiude una terza via. È quella di un diritto all’esistenza che eccede la nuda vita, la mera sopravvive­nza, e si traduce in una liberazion­e politica.

Non una libertà astratta, bensì la capacità di «afferrare la vita», avviandola in una direzione ogni volta differente, senza che per questo, nello scontro tra il soggetto e il potere, i giochi siano mai definitivi. Soltanto questa pratica di opposizion­e e resistenza, immanente e contingent­e, che lega e accomuna, perché è la realizzazi­one di quella forza del lavoro comune a tutti, può trasformar­e le forme di vita contempora­nee.

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