Corriere della Sera

Direttori stranieri nei musei italiani I due fronti in attesa del giudizio

Prevista per domani la decisione del Consiglio di Stato sui criteri di selezione dei vertici delle gallerie

- Di Pierluigi Panza

Domani l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato dovrebbe pronunciar­si sull’ammissibil­ità dei direttori stranieri alla guida dei principali musei italiani.

La vicenda nasce con la riforma Franceschi­ni che, per la prima volta consente a cittadini stranieri di guidare i nostri musei. Viene istituita una commission­e (guidata dal presidente della Biennale, Paolo Baratta) chiamata a selezionar­e italiani e stranieri insieme; su venti, sette risultano stranieri, tra i quali il direttore di Palazzo Ducale di Mantova, Peter Assmann. Una dei partecipan­ti alla selezione di Mantova, la sovrintend­ente Giovanna Paolozzi Strozzi, ricorre su aspetti procedural­i e perché una legge del ’94 prevede che nei ruoli apicali della Pubblica amministra­zione siedano cittadini italiani. Il Tar le dà ragione, ma il ministero dei Beni culturali ricorre al Consiglio di Stato e chiede la sospensiva (tanto che i direttori stranieri restano al loro posto). Il Consiglio di Stato dà torto alla ricorrente sugli aspetti procedural­i, ma rimanda all’adunanza plenaria sul punto più delicato. Intanto, nel luglio 2017, il Consiglio di Stato accoglie un altro ricorso del Mibact contro il Tar del Lazio ammettendo direttori stranieri per il Parco archeologi­co del Colosseo. Domani l’adunanza deciderà o prenderà ancora tempo. La sua decisione è, forse, appellabil­e solo alla Corte europea.

La decisione e il suo senso non sono così scontati e riducibili a uno scontro tra innovatori e parrucconi, globalisti e sovranisti. Si oppongono due tesi. La prima, facente capo al ministro Franceschi­ni; la seconda sostenuta da Vittorio Sgarbi e, in parte, dai sindacati. La prima è che c’è libera circolazio­ne dei lavoratori europei e che, semplifica­ndo, gli stranieri vivacizzin­o e internazio­nalizzino i polverosi musei italiani, anche cercando soldi da sponsor esteri (con i pericoli che ciò comporta). La seconda è che, se si accetta che passino i direttori stranieri, la breccia è aperta. Seguiranno ai vertici della Pubblica amministra­zione professori universita­ri stranieri (e fin qui tutti d’accordo, così i baroni la finiscono con i concorsi pilotati), poi magistrati stranieri (prime perplessit­à), infine ambasciato­ri italiani stranieri (questo sarebbe paradossal­e) sino, ironizza il critico-politico Sgarbi, a un «presidente del Consiglio italiano straniero» (una idea paradossal­e forse da non scartare!).

«È importante — sottolinea uno Sgarbi in versione uomo di legge — che l’adunanza plenaria resti nella sola valutazion­e tecnica e non ceda alle sirene di Franceschi­ni in nome di un’azione di governo di cui questa dei direttori è parte vitale. Nel Consiglio di Stato ci sono giuristi come Oberdan Forlenza che era capo di gabinetto di Giovanna Melandri; siamo non alieni dalla politica. Ecco: loro non devono guardare alla politica. Non devono entrare nel merito, dire se è giusto sprovincia­lizzare. La sentenza del Tar mi pare ineccepibi­le: non esiste, per legge, un segmento della Pubblica amministra­zione al cui vertice sieda uno straniero».

Secondo Sgarbi, anche il sistema di selezione — troppo complesso per riferirne qui — sarebbe stato «ideato» allo scopo di sfavorire gli italiani attraverso un sistema «analogo» a quello dei concorsi universita­ri: «escludere i più pericolosi» (i migliori?).

«Anche all’estero selezionan­o direttori della propria nazione: si è mai visto un direttore del Louvre non francese?». L’obiezione di Gabriele Finaldi alla guida della National Gallery non regge, poiché è di origini italiane, ma nato a Londra.

«Si possono avere collaborat­ori stranieri — conclude Sgarbi —, ma siamo sicuri che il pur bravo Eike Schmidt agli Uffizi sia meglio di Mauro Natali? Sul direttore di Urbino, Peter Aufreiter, io nutro perplessit­à. C’è sempre arbitrio nelle selezioni, d’accordo; ma guarda caso passa lo straniero, per orientamen­to».

Dall’altra parte la preoccupaz­ione è opposta. Se il Consiglio di Stato accoglie la sentenza del Tar, o prende tempo, sono a rischio i rinnovi dei direttori stranieri, che scadono tra circa un anno e mezzo (il loro accordo era 4+4 anni): «È ovvio che uno si guardi in giro», affermano fonti ministeria­li.

Il nodo riconferme Se sarà accolta la sentenza del Tar sono a rischio i rinnovi dei direttori in scadenza

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Particolar­e del soffitto della Camera degli sposi affrescata da Andrea Mantegna (Mantova, complesso del Palazzo Ducale)

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