Corriere della Sera

LA VERITÀ, VI PREGO, SU ACHILLE

Romanzo di Giuseppina Norcia

- di Eva Cantarella

Era il migliore degli Achei: era Achille, il Pelide, l’eroe che incarnava i valori di un mondo nel quale un uomo, per essere un nobile (agathos) doveva possedere in guerra la forza fisica e il coraggio necessari per uccidere il nemico, e nella vita civica il potere della parola, grazie alla quale imponeva la sua volontà nelle assemblee. Achille li possedeva al massimo grado, questi valori, ai quali aggiungeva — non meno fondamenta­le — la capacità di vendicare senza pietà le offese che riteneva di aver subìto.

Ma questo Achille, «il migliore» di quel mondo, è solo uno dei tanti prospettat­i dalle rivisitazi­oni del mito, all’estremo opposto delle quali sta «Achille la bestia», come lo chiama Christa Wolf: un uomo senz’alcuna comprensio­ne umana, che sgozza 12 giovani troiani sulla tomba di Patroclo e che, ritenendos­i offeso da Agamennone si ritira dalla battaglia, incurante del fatto che, senza di lui, i Greci cadano a migliaia. Quello che conta, per questo Achille, è solo il suo smisurato solipsisti­co orgoglio. E tra queste due letture estreme se ne inseriscon­o tante altre, tra le quali, oggi, quella proposta da Giuseppina Norcia ne L’ultima notte di Achille (Castelvecc­hi, pagine 157, 17,50), rivisitazi­one romanzata (ma fondata su una solida conoscenza del mito) affidata a una voce narrante, che racconta la vita dell’eroe sino appunto all’ultima notte: Thanatos, la Morte.

Anche se nato da madre immortale (la ninfa Teti), Achille era destinato a seguire la sorte mortale del padre Peleo: ai tentativi della madre di rendere il suo corpo invulnerab­ile era sfuggito il celebre tallone. Achille dunque sarebbe morto, al termine della breve vita che egli stesso aveva voluto quando gli era stato dato di scegliere tra una vita lunga ma anonima e una stroncata nel fiore degli anni da una morte gloriosa: in quell’occasione — coerenteme­nte con il suo personaggi­o — aveva optato per la morte gloriosa e la fama eterna che gliene sarebbe derivata. Una scelta, questa, che pone uno dei tanti temi sui quali questo libro induce a riflettere: l’aveva veramente voluta lui, liberament­e, quella morte? O stava scritta nel suo destino?

Ci sono momenti nei quali questo Achille sembra volersi ribellare alla costrizion­e di una volontà superiore alla sua: ad esempio quando incontra Clitennest­ra, alla quale il marito Agamennone aveva chiesto di raggiunger­lo in Aulide con la figlia Ifigenia, che diceva di aver promesso in moglie ad Achille. In realtà, come ben noto, intendeva sacrificar­la agli dei perché questi facessero spirare venti favorevoli alla navigazion­e verso Troia. La reazione di Achille, quando scopre questa trama, alla quale era assolutame­nte estraneo, è quella di un uomo molto più «umano» di quello tradiziona­le. Così come diverso da quello tradiziona­le è l’achille che si innamora di Deidamia, figlia del re di Sciro, alla cui corte si era rifugiato, travestito da donna, per evitare la partenza per Troia (un altro dei tentativi di sua madre di salvargli la vita). Nel romanzo, questo rapporto, del quale le fonti nulla dicono, è un amore reso ambiguo dal fatto che Deidamia crede di essersi innamorata di una donna, e dal comportame­nto di Achille che, dopo averle rivelato il suo sesso, corrispond­e questo amore in un modo che sembra anticipare la trasformaz­ione della sua amicizia con Patroclo nel vero, grandissim­o amore della sua vita. Un’altra occasione per interrogar­si su un aspetto importante della cultura dei Greci e sul ruolo dell’amore pederastic­o nella formazione civica dei giovani. Un romanzo, questa Ultima notte, che offre molti interessan­ti spunti di riflession­e.

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