Marce o cambio automatico? I grandi dibattiti (metafisici) dei vespisti di tutto il mondo
Ogni gruppo di appassionati ha i suoi grandi dibattiti. Gli amanti della musica si chiedono se sia stato più grande Mozart o Beethoven, quelli della buona tavola discuterebbero mesi sulla superiorità del dolce o del salato, e nel calcio ci si scorna sul dualismo tra Messi e Cristiano Ronaldo. Per i Vespisti, la Grande Discussione Senza Fine, la divisione in scuole di pensiero che si affaccia in ogni raduno, è sulle marce.
Cambio automatico, sì o no? Gli integralisti sono per le marce, la scuola più edonista difende l’automatico. La Vespa col cambio manuale è femmina, quella automatica è maschio: con l’automatica fai le cose stupide che fai con gli amici, quella con le marce la tratti con delicatezza e rispetto, amano ripetere i veterani dei raduni. Un giorno le donne, che sono più del 20% degli iscritti ai Vespa Club, si pronunceranno in merito, magari nel ricordo di Ada Pace detta «Sayonara», pilota scomparsa due anni fa che portò la sua Vespa alla vittoria in diversi trofei negli anni Cinquanta.
L’altra grande tradizione dei raduni è narrarsi le epiche follie in sella, però quest’anno sarà impossibile che qualcuno possa battere Yujin, detta Yu Fish, ragazza di Pechino che ha attraversato Asia, Russia, Europa e Nordafrica per arrivare a Pontedera, facendo 40 mila chilometri. Tutti in Vespa. Non lungo una linea retta — no, la Vespa ha una rettitudine tutta sua: «Il rettilineo è una tortura», dice il titolo di un libro di culto scritto anni fa da quattro vespisti. Perché se sei a Mosca, vuoi non fare un salto (a 60 km orari) a Capo Nord? È solo in Norvegia, basta passare da Finlandia e Svezia. Allo stesso modo una volta in Italia, raccontano al Museo Piaggio, ha detto: «Beh, sono a Pisa, già che sono qui vado a Pompei».
Beninteso, il vespista medio, che venga dall’italia, dalla Germania o dall’indonesia (per citare le tre nazioni più rappresentate) davanti al concetto «40 mila chilometri» non pensa: «Bisogna essere pazzi» bensì «Cos’ho da fare quest’estate?». Oltre tutto la Cina evoca in chi l’ha conosciuto il ricordo di Giorgio Bettinelli, che sulle rive del Mekong aveva preso casa con la moglie Yapei. Scomparso dieci anni fa dopo un malore, Bettinelli è il vespista cui ogni vespista tende: nel 1992 partì da Roma e nel 1993 arrivò a Saigon, poi partì dall’alaska per arrivare in Patagonia, poi da Melbourne a Città del Capo, venendo pure rapito da guerriglieri in Congo. Serve dirlo? Sempre in Vespa.
Il tutto, non capendo nulla di motori. «Non sapeva cambiare una ruota e ogni volta che si bloccava la sua tattica era sedersi sul bordo della strada guardando nel vuoto con l’aria da cane bastonato», ricordano gli amici. La tattica funzionava sempre, e non solo con lui: se c’è una cosa che si può osservare nei raduni è che in qualunque posto del mondo appaiano gli amanti della Vespa sono accolti a braccia aperte, come sempre quando i matti sono davvero amabili.
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