Il partigiano Di Maio
Un partigiano di 92 anni entra nella sala dell’undicesimo Municipio di Roma con le gambe che tremano, ma solo per l’emozione. Si chiama Mario Di Maio, e non è parente. In occasione del 25 Aprile, le stellate autorità che amministrano da par loro la Capitale lo hanno invitato a tenere un discorso sulla Resistenza a duecento studenti e pensionati della zona. Di Maio 92 alza lo sguardo verso le sedie e si accorge che sono vuote. Temendo che l’età gli abbia giocato un brutto scherzo, mette meglio a fuoco il panorama. In effetti due sembrerebbero occupate: dall’assessora e dalla sua segretaria. Ma le rimanenti centonovantotto languiscono di solitudine. Qualcuno si deve essere dimenticato di avvertire gli interessati, qualcun altro di controllare che fossero stati avvertiti, qualcun altro ancora di verificare che i controllori avessero controllato. L’esito di questo sforzo titanico di approssimazione è il deserto di poltroncine che si staglia a perdita d’occhio davanti al partigiano. Ma gli uomini del suo tempo sono stati forgiati in un materiale speciale.
Di Maio prende posizione al centro del palco e, come se nulla fosse, declama alle sedie vuote una poesia sul bombardamento di San Lorenzo: «Sonano le sirene, che dolore/ Ognuno s’arifugia in un portone/ Tra qualche istante senti già sparare/ e qualche bomba cade a precisione»... Poi saluta il nulla e se ne va, non prima di averci indicato il nuovo nemico a cui opporre Resistenza.
La sciatteria.