Corriere della Sera

Renzi arroccato sul no, il partito è nel caos Ora al Nazareno è guerra via Twitter

Parte la campagna #senza di me. Anche il Giglio è diviso

- di Monica Guerzoni

ROMA Sedersi o non sedersi al tavolo con gli acerrimi nemici? L’amletico dilemma che lacera il Pd sta portando in superficie le tensioni represse dopo la sconfitta del 4 marzo. L’hashtag #senzadime che impazza su Twitter, alimentato anche da parlamenta­ri vicini a Maria Elena Boschi, rivela il tentativo di riconnette­rsi con la base in rivolta e la determinaz­ione di Matteo Renzi a far saltare il tavolo, prima ancora che le delegazion­i vi prendano posto.

In vista della conta finale in direzione, i grandi sconfitti delle elezioni sono al tutti— contro—tutti. Persino dentro il giglio magico la visione sul da farsi non è univoca. Se Boschi chiude a doppia mandata, a Luca Lotti si attribuisc­ono contatti con emissari dei vincitori. A Palazzo Madama raccontano che il senatore di Firenze abbia rimprovera­to il capogruppo Andrea Marcucci per aver aperto a Fico e chiuso a Di Maio premier: «Hai sbagliato di brutto».

La confusione regna sovrana, anche tra i renziani. «Matteo non sa quale sia la meta — spiegano i parlamenta­ri a lui più vicini — Ma poiché non vede una via di uscita netta, stoppa ogni accordo». L’ordine di scuderia partito ieri dalle stanze di Palazzo Giustinian­i, dove è stato a lungo chiuso con il portavoce Marco Agnoletti, era respingere profferte e lusinghe. Persino Graziano Delrio è finito nel mirino. Durante il colloquio a Montecitor­io il capogruppo ha mediato tra Maurizio Martina e i niet di Marcucci e Orfini, ma poi Renzi ha giudicato «troppo aperturist­e» le sue parole ieri sera a Porta a Porta.

La giornata dei dem è stata scandita da discussion­i anche aspre, vertici, telefonate roventi e frenetici battibecch­i via social. Prima di salire a piedi (e divisi) a Montecitor­io, i delegati si sono visti con Martina al Nazareno e la discussion­e è stata molto accesa. Per i renziani il reggente voleva «aprire senza condizioni» e così Marcucci e Orfini, con la mediazione di Delrio, hanno chiesto tempo fino a dopo i ponti di primavera e preteso la conta in direzione. Per imporre la linea servono 105 voti e i renziani pensano di averne minimo 125, al netto di chi è passato con il fronte dialogante: una ventina di Franceschi­ni, due di Delrio, nove di Martina e alcuni battitori liberi.

«Salvini e Di Maio stanno ancora trattando — è il convincime­nto che Renzi ha condiviso con i suoi — Se non faranno il governo, hanno un patto di ferro per andare a elezioni». L’idea terrorizza tanti

nel Pd, anche tra i renziani. Ma l’ex premier, forse galvanizza­to dall’hashtag #Renzitorna, non sembra temere le urne, anzi secondo i governisti punta a spaccare per «farsi il suo partito alla Macron». Mattarella invece vuole scongiurar­e il ritorno al voto e sarebbe questo uno dei punti di frizione tra Renzi e il Colle. E se alla fine non restasse al presidente che appellarsi alla responsabi­lità di tutti? Qui le versioni divergono. C’è chi dipinge Renzi pronto a fare la sua parte e chi lo esclude: «Un governissi­mo, e con chi?».

Martina vuole provarci fino in fondo, purché il prezzo dell’accordo con il M5S non sia una spaccatura irreversib­ile del Pd. Il reggente, che ha dalla sua Franceschi­ni, Orlando, Emiliano, Zanda, Finocchiar­o, Minniti e, si dice, anche Gentiloni, guarda con rispetto alla «prudenza» di Renzi e pianta i suoi paletti. Per tranquilli­zzare il suo predecesso­re al Nazareno assicura che il Pd non farà nessuna abiura della stagione del governo. E chiede un «tempo ragionevol­e per discutere di programma». Alla fine però anche Martina così ottimista non è: «Temo finisca con un no».

La direzione

Si andrà alla conta in direzione. Tornano le voci di nascita di un «partito dell’ex leader»

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I vertici dem Matteo Orfini, Andrea Marcucci, Maurizio Martina e Graziano Delrio dopo le consultazi­oni con il presidente della Camera, Roberto Fico (Imagoecono­mica)
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