Corriere della Sera

La base M5S è sempre più inquieta Il leader: non darò la mia testa al Pd

La difesa del ruolo di premier, «o salta tutto». Ai voti un’eventuale intesa

- di Alessandro Trocino

ROMA A massima apertura sui temi, chiusura sulla premiershi­p. Il Movimento 5 Stelle si muove su un doppio binario, talora triplo, con una strategia complessa da decifrare e con un finale non scritto. Sul piano della comunicazi­one, Luigi Di Maio e i suoi hanno scelto la strada di incoraggia­re le trattative con il Pd, chiudendo ufficialme­nte con la Lega, escludendo governi tecnici o del presidente, e lasciando come unica alternativ­a le urne. In realtà, la partita si gioca in una trattativa sotterrane­a più articolata. Che contempla la possibilit­à tutt’altro che remota di un fallimento del dialogo con il Pd. E, con l’affacciars­i della possibilit­à di un governo istituzion­ale, di una sollevazio­ne anti inciucio delle due forze che più apertament­e si dicono estranee alle «ammucchiat­e» e che finirebber­o per tornare a convergere, come in un gioco dell’oca: 5 Stelle e Lega.

Naturalmen­te è un approdo tutt’altro che sicuro, che passa attraverso un numero di variabili troppo elevato per consentire scommesse sicurament­e vincenti. Quello che è certo è che il Movimento è attraversa­to, forse per la prima volta da settimane, da un brivido di malumore montante. Tra i dirigenti e i parlamenta­ri, spaccati tra chi vuole un governo purchessia anche senza Di Maio (come Carlo Sibilia, che scrive «andiamo oltre i nomi») e chi dice un no secco ai «pidioti», come li chiamavano un tempo (ma c’è anche chi, come Paola Nugnes, si dice «rigenerata» dallo stop alla Lega). La base, a sua volta, da giorni rumoreggia contro l’ipotesi di una convergenz­a con i dem. Rumore di sottofondo diventato talmente assordante, che Di Maio ieri ha dovuto offrire, sull’altare dell’accordo, la ratifica con il voto dei militanti. Se mai ci si arriverà. Perché non è escluso che la strada si interrompa prima.

Anche per questo Di Maio e i suoi hanno messo in campo esplicitam­ente la minaccia del voto. Perché, di fatto, gli unici due partiti a non temere le urne, visti i sondaggi favorevoli, sono proprio M5S e Lega. Il Pd farebbe di tutto per non tornarci ora, visto anche il desolante risultato molisano.

La minaccia di un ritorno alle urne potrebbe costringer­e i dem a passi più meditati. Da giorni si dice che potrebbero chiedere a Di Maio di rinunciare alla premiershi­p. Ieri il capo politico M5S non ha incluso la sua carica tra i pa-

letti all’accordo con il Pd. Perché non voleva dare pretesti ai dem per non sedersi al tavolo delle trattative. Ma il diktat rimane. I 5 Stelle si dicono sicuri: «Vedrete, non ce lo chiederann­o. Neanche Renzi». Ma il timore di una manovra a tenaglia, magari con sponde nel Movimento, resta. E Di Maio lo dice chiaro ai suoi: «Se vogliono la mia testa, i nostri diranno di no nel voto e si torna dritti alle urne». Ma non sono le urne l’obiettivo principale dei 5 Stelle. Perché il forno con la Lega, come ha ammesso ieri anche Emilio Carelli, resta ben aperto, nonostante le successive chiusure. E i contatti tra gli ambasciato­ri proseguono. Al momento opportuno, contro l’inciucio potrebbe risorgere la santa alleanza Lega-m5s, ponendo fine a veti e tentenname­nti.

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M5S Il capogruppo al Senato Danilo Toninelli, 43 anni, lascia Montecitor­io dopo le consultazi­oni con Roberto Fico per la formazione del nuovo governo (Ansa)

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