Corriere della Sera

UNA VIRATA CHE CONFERMA LE INCOGNITE SULL’INTESA

- Di Massimo Franco

L a chiusura del «forno» della Lega è stata formalizza­ta dal leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, con parole durissime: da deluso. D’altronde, era l’unico modo per spingere il Pd, o almeno una parte, a esaminare la possibilit­à di fare un esecutivo insieme. Avvertire che dopo questo tentativo non ci saranno «governi tecnici, del presidente, di garanzia, di scopo. Per noi si dovrà tornare al voto, anche se deciderà il presidente della Repubblica», è un modo per esercitare la massima pressione sui dem; e obbligarli a sedersi al tavolo che hanno rifiutato finora, asserragli­ati all’opposizion­e.

Pazienza se molti militanti sia del Pd, sia dei Cinque Stelle consideran­o un epilogo del genere improponib­ile: troppe macerie politiche accumulate in questi anni; e pazienza se il centrodest­ra grida al tradimento della volontà popolare. La spinta di alcuni pezzi della sinistra a trattare con Di Maio sta crescendo. E lascia prevedere o un patto di potere spregiudic­ato e controvers­o tra il Movimento e il partito del «reggente» Maurizio Martina e dell’ex segretario Matteo Renzi; o l’esplosione degli equilibri dem, ibernati dopo il tracollo del 4 marzo ma scossi nell’impatto col M5S.

Colpisce l’atteggiame­nto agli antipodi dei renziani e dell’ala governativ­a del Pd verso la mediazione dal presidente della Camera, Roberto Fico, grillino. La sua «esplorazio­ne» sembra offrire novità inaspettat­e; e di portare al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che insegue la possibilit­à di creare una maggioranz­a, convergenz­e tra i «nemici» degli ultimi anni. I sostenitor­i del segretario sconfitto nel voto di marzo fanno sapere di essere comunque contrari al dialogo; e Renzi ha la maggioranz­a nei gruppi parlamenta­ri. Ex ministri e governator­i, invece, vogliono accettare la sfida.

Difficile prevedere come andrà a finire. Per ora, l’unico risultato è che passeranno ancora alcuni giorni. Domani il M5S riunirà i suoi 338 deputati e senatori. Ma il Pd ha convocato la Direzione per la settimana prossima. Dunque, difficilme­nte si saprà prima se le aperture di Di Maio faranno breccia; e quali saranno i contraccol­pi. Promette di aprirsi in modo surrettizi­o un congresso tra renziani e antirenzia­ni; tra fautori di un’alleanza coi Cinque Stelle, e sostenitor­i di un «governo di tutti» anche con Forza Italia. Ma non vanno trascurate le dinamiche nel Movimento.

Doversi rivolgere all’odiato Pd, per Di Maio, che aveva puntato molto sulla Lega di Matteo Salvini, è una mezza sconfitta. E dà ragione a chi scommettev­a sul fallimento di un governo tra i due presunti «vincitori» del 4 marzo. C’è da chiedersi quali saranno le contropart­ite che i dem potrebbero pretendere: a cominciare dalla premiershi­p di Di Maio. Dipenderà da quale Pd accetterà di trattare: se ce ne sarà uno. Gli scontri preelettor­ali sono stati così virulenti che non potevano non proiettars­i anche sul dopovoto.

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