Groexit: la «terra verde» del Nord vuole far da sola
Ieri la Groenlandia al voto; sei dei sette partiti in lizza puntano alla separazione dalla Danimarca
Lassù il ghiaccio si squaglia, e la politica pure: alle elezioni di ieri in Groenlandia, un’isola (grande sette volte l’italia) con 56 mila abitanti (41 mila elettori) e il problema del riscaldamento globale calato come un berretto sulla testa, si sono presentati ben sette partiti. Che su un tema hanno sbandierato una bandiera comune: la voglia di indipendenza dalla piccola Danimarca, il Paese che controlla la «terra verde» tra l’america e l’europa fin dal Settecento, quando i primi evangelizzatori luterani arrivarono da Copenaghen.
Il regime di autonomia, rafforzato con le riforme del 2009, non è giudicato sufficiente. Lassù sono separatiste sei formazioni su sette. E gli «unionisti» sono un’esigua minoranza (nei sondaggi accreditata del 2,9% delle preferenze). Già con il referendum del 1979 gli abitanti avevano optato per la creazione di un governo locale, per poi scegliere volte l’italia: la Groenlandia è l’isola più grande del mondo con 56 mila abitanti, dal ‘700 sotto il controllo danese di staccarsi dall’europa unita con il voto del 1985. Ora vogliono tagliare anche il cordone (della sovranità e della borsa) che li lega ai danesi. Ma la Groexit sarebbe una scelta redditizia?
Predicano la separazione anche i due grandi partiti tradizionali che hanno corso testa a testa: il socialdemocratico e rurale Siumut (Avanti) e gli ecologisti urbani di Inuit Ataqatigiitt. Salvo sorprese, è probabile che i due big formeranno un altro governo di coalizione, in un Parlamento che conta la bellezza di 31 deputati. Il governissimo alla groenlandese dovrà dare il ritmo al processo di indipendenza che sulla carta pare ineludibile ma nella sostanza presenta qualche dilemma: oggi la Danimarca passa all’amministrazione di Nuuk («la capitale» con 18 mila anime) una cifra pari a 500 milioni di euro, ovvero la metà del bilancio annuale. La crescita del pil complessivo (2,1 miliardi di euro nel 2016) langue da cinque anni, con il 90% delle esportazioni legate alla pesca. Lo sfruttamento di idrocarburi non è ancora decollato (anche a causa della frenata dei prezzi). «È un territorio con notevoli problemi strategici, gestito come se fosse un villaggio» ha detto a le Monde Mikaa Mered, che insegna geopolitica artica a Parigi. Una terra immensa, in gran parte spopolata, che potrebbe ritrovarsi come un gigante di argilla (squagliandosi il permafrost) nel conflitto latente tra le grandi potenze per il controllo del Nord del mondo. Gli americani hanno una base aerea con 600 operativi a Thulé, tassello cruciale del sistema antimissile Usa. Una Groenlandia indipendente resterebbe nel cerchio Nato, anche se avrebbe bisogno di notevoli finanziamenti. Occhio alla lunga mano dei cinesi, dicono gli unionisti di Nuuk.