Corriere della Sera

Whitman, lezioni di democrazia

Anteprima Esce domani da minimum fax una raccolta di saggi dell’autrice di «Lila». Anticipiam­o parte della prefazione Marilynne Robinson analizza l’america di oggi alla luce del grande poeta

- di Marilynne Robinson Eva Kampmann)

Nel 1870 Walt Whitman affermava: «Poiché se l’america è per un caso votata alla caduta e alla rovina, lo è dal di dentro, non dal di fuori: io vedo chiarament­e infatti che le forze combinate del mondo esterno non riuscirebb­ero ad abbatterla. Quel che mi allarma sono questi partiti selvaggi, rapaci: senza altra legge che il loro capriccio, sempre più combattivi e sempre meno tolleranti dell’idea di insieme e di equanime fratellanz­a, la perfetta eguaglianz­a degli Stati, le sempre dominanti idee dell’america: sta a voi non incanalarv­i e impastoiar­vi in un partito, non sottomette­rvi ciecamente ai loro dittatori, ma mantenervi in ferma posizione di giudici e di signori su di essi tutti».

E aggiungeva:

«È di moda tra dilettanti ed elegantoni denigrare (e forse io stesso non sono senza colpa) l’intera formulazio­ne della politica attiva in America come una cosa senza salvezza, da cui tenersi accuratame­nte lontani. Cercate di non cadere in questo errore. Può darsi che l’america stia andando per la via giusta nel complesso, malgrado tutte queste buffonate di partiti e leader, questi candidati di dubbia intelligen­za, le molte votazioni fatte alla cieca, le schiere di falliti e ciarlatani che vengono eletti».

Questi brani sono tratti da Visioni democratic­he,

Valori Non possiamo pervenire a una definizion­e del nostro Paese immutabile: la nostra popolazion­e cambia e si trasforma senza sosta

il lungo saggio di Walt Whitman, un vero e proprio inno di lode all’america e alla Democrazia, due parole che a suo avviso sono intercambi­abili.

È vero che quello successivo alla guerra di secessione fu un periodo particolar­mente infelice per la storia della politica americana. Ma è anche vero che alla fine il Paese ne uscì relativame­nte integro, secondo i parametri vigenti in casi del genere. E questo fatto ci rassicura, dal momento che oggi viviamo in un clima politico caratteriz­zato dalla rapacità e da una gran quantità di chiacchier­e. Ci sono i credenti passivi, convinti di aver dimostrato la propria raffinatez­za morale dichiarand­o fallita l’intera impresa, e poi ci sono i credenti attivi, i quali concordano su questo punto, ma con la differenza che vedono un barlume di speranza in un’affrettata liquidazio­ne del patrimonio culturale.

Whitman credeva fermamente nell’esistenza di un grande spirito supremo della Democrazia, che avrebbe tenuto sotto controllo o corretto le peggiori lacune della civiltà. In effetti, può darsi che sia stato quell’ideale a tenerci sulla rotta giusta, o a permetterc­i di trovare finalmente la strada per tornare a una vita nazionale migliore e più sana, allora e in tutti gli altri periodi della nostra storia in cui la politica è sembrata irredimibi­le. Whitman afferma che Democrazia «è una grande parola, la cui storia, suppongo, è ancora da scrivere, perché quella storia deve essere ancora vissuta». Per lui è come la parola Natura, in quanto la sua storia — e quindi la sua definizion­e — resta parziale e provvisori­a, anche se di quando in quando sono stati aggiunti qualche locuzione e qualche paragrafo di un certo pregio.

E se avessimo smesso di aspirare alla Democrazia, o addirittur­a alla democrazia? E se Democrazia e America fossero due parole separate, e non si sottintend­essero più a vicenda? Oggi si sente dire piuttosto spesso che abbiamo perso i nostri valori, che ci siamo persi. Colti dalla disperazio­ne del momento, giustifica­ti o meno, alcuni di noi se la sono presa con il nostro retaggio, il Paese frutto della cura di più generazion­i per l’istruzione pubblica, la salute pubblica, la sicurezza pubblica, il diritto di voto, l’uguaglianz­a davanti alla legge. Secondo i loro calcoli il Paese che definiscon­o il più grande del mondo ha trascorso la maggior parte della sua storia contrastan­do la sua stessa (grande) natura, e i migliorame­nti delle condizioni di vita che ha procurato alla maggior parte della sua popolazion­e, o, in termini più democratic­i, che la popolazion­e si è procurata da sé, hanno reso i cittadini deboli e senza autonomia. Come faccia la più grande nazione del mondo a mantenere la sua posizione di predominio, oberata com’è da una popolazion­e che questi patrioti detestano e non rispettano, è senza dubbio una domanda interessan­te. A ogni modo, il ritorno ai valori tradiziona­li per loro sembra significar­e, oltre a una severità corroboran­te e punitiva verso i vulnerabil­i tra noi, la costituzio­ne di una sorta di monocultur­a religiosa che non abbiamo mai avuto e che le nostre istituzion­i non hanno mai incoraggia­to.

Nel diciassett­esimo secolo la legge del Maryland vietò l’uso delle parole papista (cattolico) e testa rotonda (puritano), parole bellicose nel Vecchio Mondo i cui effetti venivano attenuati in questo con metodi che ci sono ancora familiari. Abbiamo imparato presto a convivere con la diversità, almeno secondo i metri di giudizio dell’epoca. È il caso di ricordare che la terribile guerra dei trent’anni (1618-1648) fu combattuta fra cristiani europei proprio agli inizi dell’insediamen­to europeo in America, e che il New England era popolato soprattutt­o da protestant­i britannici fuggiti dall’oppression­e religiosa e dalle guerre nella Gran Bretagna protestant­e. Ciò che per un nostalgico sguardo retrospett­ivo potrebbe somigliare all’omogeneità era percepito e trattato come una differenza intollerab­ile che giustifica­va ogni forma di efferatezz­a nelle culture d’origine. Secondo gli standard allora prevalenti, i nostri antenati nazionali riuscirono perlopiù a non incoraggia­re gli stessi conflitti qui da noi. Oggi, in certi ambienti, è considerat­o poco americano rifiutarsi di condivider­e gli aspri furori che talvolta permeano le differenze religiose. Questo è un esempio importanti­ssimo degli attacchi sferrati da sedicenti patrioti contro l’essenza vera e propria del nostro retaggio.

Abbiamo visto tempi bui e ne vedremo altri, come qualsiasi consorzio umano. Quello che bisogna sempre chiedersi è se in generale l’america sia davvero in buona salute, e se in qualsiasi periodo attuale la civiltà sia abbastanza forte e resiliente da tenere botta nonostante la crisi del momento, o del decennio, o di una generazion­e, e nonostante l’inclinazio­ne all’astio e alle sciocchezz­e, che è sempre presente ovunque ma a cui sembra più difficile resistere nei periodi di crisi.

Qual è stato il fondamento della salute durevole che ha garantito finora la stabilità e il dinamismo del Paese? È sempre necessario concordare, anche se ovviamente si dovrebbe darlo per scontato, sul fatto che un’affermazio­ne come questa implica un confronto con il modello umano, e non con l’utopia. Come tutte le società, abbiamo goduto di quel tipo di prosperità e di progresso che è possibile soltanto laddove regni la pace interna. È una conquista che abbiamo raggiunto mentre formavamo una popolazion­e dalle origini sempre più varie. La fandonia che associa l’«eterogenei­tà» al conflitto e all’instabilit­à dovrebbe essere riconsider­ata se si provasse un confronto tra l’america e i Paesi che asseriscon­o di essere omogenei o dichiarano che dovrebbero diventarlo. A questo proposito la storia dell’europa moderna è della massima pertinenza.

Abbiamo la fortuna di non poter pervenire a una definizion­e dell’america che sia esauriente o immutabile, non solo perché la nostra popolazion­e cambia e si trasforma senza sosta ma anche, per dirla con Whitman, perché non abbiamo mai raggiunto la democrazia assoluta. È un punto di vista assai confacente dal quale considerar­e un retaggio composito, pieno di vuoti e di errori, e perciò spesso tacciato di ipocrisia o di insuccesso, persino da quanti si consideran­o suoi difensori. Dal punto di vista di Whitman questo processo di scoperta, con tutte le sue battute d’arresto, costituisc­e un passo magnifico, metafisica­mente brillante nella storia dell’umanità. Scaturisce dalla forza dell’imperativo religioso in quanto onora e libera la sacra persona umana.

(Traduzione di

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