Quell’imperatore sembra Krusciov Montanelli alle prese col Medioevo
La serie Oggi in edicola con il quotidiano «L’italia dei secoli bui», un libro scritto con Roberto Gervaso Una ricostruzione che scavalca il tempo con attualizzazioni sorprendenti La corte di Bisanzio come il Cremlino, la battuta maligna su Galla Placidi
La porta era socchiusa: «Direttore, posso?». Sì, prego, avanti… Il giovane redattore s’avvicinò imbarazzato, in mano un libro incartato. Lo porse. Il vecchio direttore lo rigirò fra le mani, incuriosito: che cos’è? «Una Bibbia…». E che doveva farci Montanelli, con una Bibbia? Ancora più impacciato, il redattore rispose d’un fiato: «Me l’ha data un lettore. Ha visto il suo fondo su Di Pietro ed è sobbalzato: finita Tangentopoli, scrive lei, altro che darsi alla politica, l’ex pm avrebbe dovuto ritirarsi come quel Davide che abbatté Golia e, dopo aver lanciato il sasso, si mise in tasca la fionda e sparì dalla storia…». Indro sgranò gli occhi: e allora? «Allora — la salivazione del redattore era ormai a zero — il lettore fa notare che Davide non sparì affatto: diventò il re d’israele. Le consiglia di verificare qui…». Indro sgranò gli occhi onesti. E s’allargò in un sorriso: «Ma ha ragione! Domani faccio ammenda sul giornale. E spiego anche perché ho scritto questa scempiaggine: la Bibbia, per intero, io non l’ho mai letta!». L’episodio è del 1994 e chi scrive era quel giovane giornalista.
Montanelli fu di parola: il giorno dopo, confessò pubblicamente la sua lacuna. Al solito, ci fu chi l’attaccò. Lui rispose da par suo: certi testi, per conoscerli, non bisogna averli letti tutti. E ricordò che non avrebbe mai potuto permettersi ventiquattro volumi di storia patria, se si fosse dedicato puntiglioso alle fonti originali come i Villari e i Romeo che onorava fra i suoi maestri.
Vero: Montanelli è stato un grande cronista dei secoli, nella tradizione dei biografi inglesi, aveva studiato a Cambridge con Edward Carr e non sopportava la prosa barbosa degli universitari italiani. Quando storici di professione lo snobbavano, o un pignolo gli faceva notare che aveva fatto nascere Liutprando a Verona anziché a Cremona, rivendicava il suo diritto d’apòta (alla Prezzolini: colui che non si beve le vulgate conformiste) e il rigore delle sue ricostruzioni: «Svarioni non ci sono, a meno che non si qualifichino come tali quisquilie del genere. Le accuse d’inesattezze possono derivare solo dalle interpretazioni. Ma le interpretazioni sono opinabili».
La centralità dell’aneddoto, l’urgenza d’interpretare, la necessità di de-eroicizzare i personaggi storici, nessun pregiudizio ideologico. «Esprimiti in modo che possa leggerti anche il lattaio. Il vero scandalo — era la sua regola — non è che io scriva libri di storia ma che gli storici me li lascino scrivere. Dovrebbero farlo loro. Perché il giornalismo è il solo linguaggio vero, ogni scienza dovrebbe servirsene».
Farsi capire da chi non sa, farsi rispettare da chi sa. Oggi che la divulgazione scientifica è anche troppa, e il lattaio pretende di spiegare i vaccini all’immunologo, sarebbe meglio chiedere scusa a Montanelli per qualche critica accademica esagerata. E ringraziarlo d’una capacità unica nel rendere il verosimile più vero del vero, d’avvicinare alla storia il popolo più ricco di passato e insieme più povero di memoria. Il successo non si perdona e alcuni storici non accettarono mai i tanti milioni di copie vendute, spesso l’unica lettura d’intere famiglie, anche se ne L’italia dei secoli bui fu l’autorevole Gregorovius a tracciare il solco dell’alto Medioevo che poi Montanelli e Gervaso abbondantemente disseminarono d’attualizzazioni anni Sessanta: il comitatus romano paragonato ai comitagi jugoslavi, l’imperatore Costanzo con la faccia di Nikita Krusciov, la corte bizantina uguale al Cremlino, le prime comunità cristiane simili a cellule comuniste, Carlo Magno che imponeva tasse stile De Gasperi…
Diceva Honoré de Balzac che la cronologia è la storia degli imbecilli e la storiografia montanelliana è rimasta un genere unico, imitatissimo, una specie di romanzo storico dove si trasformano in capolavori, senza mai tradirli, personaggi realmente esistiti. Hombres de cabinete e condottieri, santi fumantini come Ambrogio e barbari illuminati come Alarico. Impagabile, l’imbelle imperatore Onorio che, davanti al Sacco di Roma, si preoccupa soltan- to della sorte delle sue faraone. O Galla Placidia, che alla politica «ci arrivò seguendo il cammino molto più femminile dal letto all’idea, invece che dall’idea al letto» (gliela farebbero passare una simile descrizione, in questi tempi di #Metoo?).
L’intuizione rivoluzionaria di Montanelli, anche con Attila o con Teodosio, è inscenare i suoi celebri Incontri. E parlare dell’italia passata pensando sempre a quella presente. A chi somiglia il mite Procopio che di giorno dedicava agiografie ai potenti e la notte, nel segreto anonimo della sua stanza, li sputtanava descrivendone i vizi privati? Un leone da tastiera, diremmo noi oggi.
Piccoli Davide. Che per rottamare i tanti Golia della storia, invece della fionda, usavano già i blog.
L’impostazione Il gusto dell’aneddoto curioso, la necessità d’interpretare, nessun pregiudizio ideologico