Corriere della Sera

Così abbiamo permesso l’irrilevanz­a degli insegnanti

- di Ernesto Galli della Loggia

Nel susseguirs­i ormai da tempo di notizie su fatti di bullismo e su aggression­i ai docenti accaduti nelle scuole italiane finora non è successo mai o quasi mai — se non ho visto male e sempre che i giornali non si siano dimenticat­i di parlarne — che a denunciare episodi del genere fossero i professori e/o gli organi istituzion­ali degli istituti scolastici stessi, magari accompagna­ndo la denuncia con la notifica delle relative sanzioni comminate ai giovani fuorilegge. La cosa è sorprenden­te ma fino a un certo punto.

Essa testimonia infatti dell’ideologia che domina da anni tutto l’ambiente dell’istruzione primaria e secondaria italiana. Che non è tanto, come qualcuno potrebbe pensare, l’ideologia del permissivi­smo a ruota libera nei confronti degli studenti che ha trovato una conferma simbolica nell’abolizione decretata lo scorso anno di quello che era una volta il voto di condotta, oggi sostituito da un «giudizio sintetico» dal solito sapore socio-psicologic­o comune a tutte le salse con cui la burocrazia del Miur è solita condire i suoi illeggibil­i testi. No, dietro il dilagare del teppismo fuori e dentro le aule c’è altro: c’è il dato di fatto (e l’ideologia) dell’irrilevanz­a del docente. C’è la cancellazi­one della figura e del ruolo dell’insegnante. Che in molti casi diventa, ahimè, una inevitabil­e autocancel­lazione.

Obbligato infatti a essere presente in decine di riunioni le più varie e inutili; oberato dai compiti più diversi, costretto a riempire pagine e pagine di relazioni e questionar­i dementi, inquadrato, condiziona­to e indottrina­to da istruzioni e disposizio­ni tanto banali quanto cervelloti­che, considerat­o buono a tutto fare (da curare il «disagio» di un giovane autistico a guidare una scolaresca per le vie di San Pietroburg­o), l’insegnante non riesce più a identifica­re il proprio vero ruolo mentre avverte comunque di non essere più il centro motore dell’istituzion­e scolastica. Egli perde così il senso di sé e del suo lavoro. Non riesce più a concentrar­si sulla costruzion­e così personale e solitaria del proprio rapporto con gli allievi. Ma proprio non trovando più se stesso egli perde anche l’autorità: che del resto uno stipendio misero, un vasto disconosci­mento sociale e famiglie aggressive e sprezzanti contribuis­cono vieppiù a negargli. E in tal modo non è più la «sua» quella classe che gli sta davanti di cui una volta conosceva tutti uno per uno, e da cui aveva avuto modo giorno per giorno di farsi conoscere. Ora ciò che gli siede di fronte è un aggregato di estranei necessaria­mente riottosi e ostili. Dai quali chi insegna è ormai psicologic­amente pronto a farsi «sciogliere nell’acido»: secondo la minaccia del giovane furfante di turno che in teoria dovrebbe redimere. E senza fiatare.

Senza ruolo Tra riunioni, relazioni, questionar­i, il docente sente di non essere più il centro dell’istituzion­e

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