Così abbiamo permesso l’irrilevanza degli insegnanti
Nel susseguirsi ormai da tempo di notizie su fatti di bullismo e su aggressioni ai docenti accaduti nelle scuole italiane finora non è successo mai o quasi mai — se non ho visto male e sempre che i giornali non si siano dimenticati di parlarne — che a denunciare episodi del genere fossero i professori e/o gli organi istituzionali degli istituti scolastici stessi, magari accompagnando la denuncia con la notifica delle relative sanzioni comminate ai giovani fuorilegge. La cosa è sorprendente ma fino a un certo punto.
Essa testimonia infatti dell’ideologia che domina da anni tutto l’ambiente dell’istruzione primaria e secondaria italiana. Che non è tanto, come qualcuno potrebbe pensare, l’ideologia del permissivismo a ruota libera nei confronti degli studenti che ha trovato una conferma simbolica nell’abolizione decretata lo scorso anno di quello che era una volta il voto di condotta, oggi sostituito da un «giudizio sintetico» dal solito sapore socio-psicologico comune a tutte le salse con cui la burocrazia del Miur è solita condire i suoi illeggibili testi. No, dietro il dilagare del teppismo fuori e dentro le aule c’è altro: c’è il dato di fatto (e l’ideologia) dell’irrilevanza del docente. C’è la cancellazione della figura e del ruolo dell’insegnante. Che in molti casi diventa, ahimè, una inevitabile autocancellazione.
Obbligato infatti a essere presente in decine di riunioni le più varie e inutili; oberato dai compiti più diversi, costretto a riempire pagine e pagine di relazioni e questionari dementi, inquadrato, condizionato e indottrinato da istruzioni e disposizioni tanto banali quanto cervellotiche, considerato buono a tutto fare (da curare il «disagio» di un giovane autistico a guidare una scolaresca per le vie di San Pietroburgo), l’insegnante non riesce più a identificare il proprio vero ruolo mentre avverte comunque di non essere più il centro motore dell’istituzione scolastica. Egli perde così il senso di sé e del suo lavoro. Non riesce più a concentrarsi sulla costruzione così personale e solitaria del proprio rapporto con gli allievi. Ma proprio non trovando più se stesso egli perde anche l’autorità: che del resto uno stipendio misero, un vasto disconoscimento sociale e famiglie aggressive e sprezzanti contribuiscono vieppiù a negargli. E in tal modo non è più la «sua» quella classe che gli sta davanti di cui una volta conosceva tutti uno per uno, e da cui aveva avuto modo giorno per giorno di farsi conoscere. Ora ciò che gli siede di fronte è un aggregato di estranei necessariamente riottosi e ostili. Dai quali chi insegna è ormai psicologicamente pronto a farsi «sciogliere nell’acido»: secondo la minaccia del giovane furfante di turno che in teoria dovrebbe redimere. E senza fiatare.
Senza ruolo Tra riunioni, relazioni, questionari, il docente sente di non essere più il centro dell’istituzione