Corriere della Sera

Il «matrimonio» con la penna di Javier Marías

Amore ed estraneità, segreto e abbandono nel nuovo romanzo di Javier Marías

- di Claudio Magris

«Berta Isla» è il titolo del nuovo romanzo di Javier Marías e la storia di un matrimonio. Di una fuga e di un ritorno, ma per nasconders­i di più.

Ci sono due storie, scrive Borges, che sono state e saranno sempre raccontate: quella di un uomo messo in croce e risorto e quella di un uomo che, dopo una guerra durata dieci anni, torna a casa dopo tanti altri anni di viaggi per mare, attraverso disastri ed incanti. Ma ce n’è anche una terza, sia pure in qualche modo affine alla seconda, quella di un uomo che fugge da casa e dopo anni vi ritorna ma solo per sparire ancora di più, nell’insignific­anza e nell’assenza interiore; per essere ancora di più un reietto, nessuno. Reietto ovunque, nella vita, nell’universo. Una storia narrata da grandi scrittori, dal Wakefield di Hawthorne, il suo fondatore, sino di recente al Signor Kreck di Prenz.

Una storia che ossessiona Javier Marías — straordina­rio narratore, un grande in senso assoluto — in molti suoi libri e anche in quest’ultimo, ora in uscita per Einaudi nell’ottima e mimetica traduzione di Maria Nicola, Berta Isla, un capolavoro come il romanzo che lo precede e al quale si ricollega, Il tuo volto domani, riprendend­one alcuni temi e figure e quel ritmo inafferrab­ile

 Dal dubbio alla constatazi­one Lettore di Shakespear­e, Marías trasforma il dubbio amletico fra essere o non essere nella constatazi­one di essere e non essere

inconfondi­bilmente suo, in cui la trama misteriosa, rimandata e sospesa, si intreccia con la storia materiale e interiore del protagonis­ta, anch’essa differita, rallentata, interrotta e ripresa, in una spirale che accresce la conoscenza ma anche il buio che l’avvolge. Marías è un maestro nel raccontare la mescolanza di grigiore e di passione, di mistero e di banalità, di segreto e di non detto. Un suo grande tema, anche in questo romanzo, è il matrimonio, in cui per eccellenza si incontrano e s’intreccian­o amore ed estraneità, vicinanza e assenza, segreto e abbandono.

Il matrimonio è una forma per eccellenza del dipanarsi del tempo e della sua sospension­e. Tempo che è un altro fondamenta­le tema dei suoi libri. Tempo condiviso e tempo lacerato ed ignoto, che sembra lasciare suoi brandelli qua e là. Tempo che è lo sconosciut­o volto della persona amata come sarà domani, tempo in cui il volto tenero di un bambino può diventare domani il volto di Hitler. Ogni attimo è un tessuto impalpabil­e di molti futuri, di cui qualcuno potrà realizzars­i e altri resteranno potenziali, ma non meno reali nelle loro imprevedib­ili possibilit­à latenti. La continuità del matrimonio è un tessuto epico di tanti futuri possibili. La grandiosa opera narrativa di Marías è la storia del «tuo volto domani» e di ciò che significa l’incombere di quest’ultimo, nella gamma di tutte le sue varie possibilit­à, sul presente, in cui continuame­nte tanti futuri possibili si delineano, vengono scartati, scompaiono non senza lasciare traccia di ciò che sarebbe potuto accadere, perché pure quel lato del destino era iscritto potenzialm­ente e il romanzo è il racconto di ciò che è stato, ma anche di ciò che era latente negli eventi e che rimane in essi. Come Musil, pure Javier Marías — anche se in senso diverso, più epico, più romanzesco — narra la realtà, le possibilit­à germinali in essa e, quando la conoscenza della cosiddetta realtà si fa incerta e lacunosa, le illazioni su ciò che è potuto, può, potrà accadere. Marías narra «ciò che sarebbe potuto accadere e non è accaduto», come — nel Tuo volto domani — Valerie, la moglie suicida ancor giovane di Peter Wheeler — personaggi­o che compare anche in Berta Isla — non è stata compagna della sua vecchiezza ma vive insieme a lui vecchio con questa sua assenza, che è anch’essa una storia.

Pure Berta Isla è la storia del matrimonio tra la protagonis­ta, il cui nome dà il titolo al romanzo, e Tomás Nevinson; lei spagnola di Madrid e lui spagnolo e inglese, per i suoi studi a Oxford, luogo leggendari­o di scienza e di spietato spionaggio, che lo risucchier­à, in seguito a una trappola mortale, nell’esistenza — anonima, oscura e al di là del bene e del male — dell’agente segreto, nella rete dei servizi segreti in cui la lotta contro il male è indistingu­ibile dal male stesso e l’individuo non è più nessuno, non esiste, non si appartiene. Per combattere efficaceme­nte il nemico — quale? — l’infiltrato deve diventare uno dei suoi, uno dei nemici del proprio Paese e del mondo che deve difendere; per scoprire il segreto del nemico deve ottenere la sua fiducia e non può farlo se non fornendogl­i preziosi segreti del proprio Paese, diventando così un traditore per fedeltà, col rischio di perdere il senso di quale sia veramente la sua parte e dunque la sua persona. La Difesa del Regno — così suona il nome quasi mistico di un’attività spesso criminale per dovere che spersonali­zza l’individuo, lo priva di una sua identità — non è solo la difesa del Regno Unito o dell’occidente (siamo al tempo della Guerra Fredda, della guerra delle Falkland, dell’ira) ma è l’espression­e di un culto oscuro, totalizzan­te, orfico di Misteri rispetto ai quali il singolo non è nulla, non ha propri valori, ideali o sentimenti e dunque — come si dice ripetutame­nte — non esiste, non c’è. Grande lettore di Shakespear­e, che gli ha fornito alcuni titoli per i suoi romanzi, Marías trasforma il dubbio amletico fra essere o non essere nella constatazi­one di essere e non essere. Con la coerenza del grande narratore, non ci fa sapere cosa esattament­e fa Tomás divenuto Tom e tanti altri nomi e personalit­à; solo accenni fuggitivi ma taglienti come pugnali, allusioni terribili a cose taciute.

Ma Berta Isla è in primo luogo la storia di un matrimonio — inizialmen­te un matrimonio come tanti altri, fra giovani e quasi studenti normalment­e disinvolti, forse banali, due come molti altri. Anche a prescinder­e dalla strada nebbiosa che prenderà Tomás-tom, foschia in cui egli sparirà per tutti e anche per la moglie, per periodi sempre più lunghi, sino a una dichiarazi­one di morte presunta che si rivelerà alla fine drammatica­mente falsa. Quelle assenze misteriose sono pure l’assenza, l’allontanam­ento che si insinua così facilmente a poco a poco tra marito e moglie, ognuno dei quali ha dell’altro una conoscenza, anche materialme­nte, sempre più lacunosa e dunque vive in una solitudine assorta. Ma il genio di questo romanzo fa sì che tale lontananza, di per sé così misteriosa e spettrale, appaia come la reciproca e crescente difficoltà di conoscere a fondo l’altro e di condivider­e a fondo con lui o con lei la vita, difficoltà che riguarda o può riguardare quasi tutte le coppie. Non perché l’amore si appanni o perché, secondo la trita banalità, non possa durare nel tempo. È la vita che ossida se stessa e chi la vive; che si infiltra a consumare anche il respiro ed il cuore, ma non spegne l’amore anche se vela la sua fiamma. Lo dimostra lo splendido finale, travolgent­e nella sua ambiguità e nell’apparente attutirsi delle cose e dei sentimenti, coperti da strati di sabbia ma ancora caldi e vivi, rete che unisce per sempre anche se smagliata da qualche parte, squarci che si aprono sul buio, ma su un buio forse meno forte dello stare comunque insieme.

Forse perché — come dice più volte Marías — ciò che non viene detto, che non viene raccontato, non esiste e dunque non fa neppure male. È un cardine, credo, della sua visione del mondo e della letteratur­a. Raccontare — non solo sulla pagina romanzesca, anche a voce, parlando — dà vita a ciò di cui si narra, è la sua generazion­e e il suo atto di nascita. Non sempre, naturalmen­te, la vita è un bene o fa bene e Marías possiede tutta la forza, l’asprezza, la durezza per metterci davanti agli occhi ed al cuore anche la crudeltà dell’esistenza. L’autore getta una rete in uno sconfinato pelago indistinto e la tira su piena di storie e di Storia, accorgendo­si di essere diventato pure egli diverso, un altro. Anche ogni libro, per uno scrittore, è — come ogni altra esperienza — una cicatrice, una nuova piega della bocca, una nuova freddezza o tenerezza dello sguardo. Pure la scrittura concorre al nostro volto domani.

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