Questionario Mueller Che cosa rischia Trump ?
Il «questionario di Mueller» conferma il doppio livello delle indagini. Il Super procuratore è partito dall’ipotesi base: il comitato elettorale di Donald Trump ha cooperato con il Cremlino per danneggiare la campagna di Hillary Clinton? Poi su questo ceppo iniziale ha innestato un’altra ramificazione: il presidente ha cercato di ostacolare gli accertamenti dell’ Fbi?
In sostanza è questo il fulcro della lista di domande pubblicate dal New York Times. È importante notare come siano cambiati i pesi negli sviluppi di un’inchiesta cominciata ormai un anno fa. I quesiti diretti sulla possibile «collusione con i russi» sono 16; quelli sull’«ostruzione» della giustizia 26. Alla figura che all’inizio sembrava decisiva, Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale, sono dedicati solo 5 interrogativi. Invece sono 18 i dubbi sui rapporti tra Trump e l’ex direttore dell’fbi, James Comey.
Lo schema di Mueller appare lineare. Prende le mosse dai contatti di Flynn con l’ex ambasciatore russo, Sergei Kislyak, nel dicembre 2016. Possibile che Trump non ne sapesse nulla? Attenzione perché il Super procuratore potrebbe conoscere la risposta, o meglio quella fornita dallo stesso Flynn, che si è dichiarato colpevole per aver mentito all’fbi e che ora sta collaborando con gli agenti federali. L’altro passaggio cruciale riguarda il meeting nella Trump Tower, il 9 giugno 2016, organizzato da Donald Trump Junior, il primogenito dell’allora candidato repubblicano. All’incontro partecipano anche Jared Kushner, il marito di Ivanka Trump, e Paul Manafort, in quel momento direttore della campagna elettorale. L’ospite è l’avvocata russa Natalia Veselnitskaya, che aveva offerto «materiale compromettente» su Hillary Clinton e che pochi giorni fa, in un’intervista alla Nbc, ha rivelato di essere «un’informatrice del Cremlino». Inoltre Mueller ha in mano i verbali di Rick Gates, socio d’affari di Manafort, già incriminato per una serie di reati finanziari.
Il Super procuratore si presenterebbe all’appuntamento con Trump come un giocatore che conosce molte delle carte in mano all’avversario. Eppure non è questa la trappola più insidiosa. Ancora ieri «The Donald» ha twittato che questa storia «è una bufala», «una caccia alle streghe» e che «non c’è stata collusione con la Russia». Ma allora perché tutte quelle pressioni sul capo dell’fbi, Comey? Perché licenziarlo? Perché maltrattare e financo minacciare il ministro della Giustizia, Jeff Sessions che si era auto escluso dalle indagini?
La tecnica di Mueller è un classico: ritorcere contro il testimone le sue stesse parole, i suoi stessi comportamenti. E qui il materiale abbonda ed è da mesi a disposizione del pubblico. Mueller si limita, in un certo senso, a sistematizzarlo. Si parte dalla cena alla Casa Bianca del 27 gennaio 2017, in cui il presidente chiese «lealtà» al capo del Federal Bureau. Poi si passa alle pressioni di Trump perché Comey «lasciasse andare» Flynn. E infine si arriva al licenziamento dello stesso Comey, il 9 maggio 2017. La versione di Trump andrebbe a confrontarsi con quella offerta nel libro appena pubblicato dallo stesso Comey («Una lealtà superiore»).
In definitiva Mueller potrebbe incriminare il presidente per «ostruzione alla giustizia» anche prima di aver stabilito se davvero ci fu «collusione» con figure collegate a Vladimir Putin. Un risultato forse paradossale, reso possibile proprio dalle reazioni trumpiane: gli attacchi plateali agli investigatori; i tentativi di arginare il raggio di azione di Mueller e così via.
La domanda ombra che aleggia nel «questionario» è allora semplice: chi o che cosa vuole proteggere Trump? Se stesso? I segreti legati ai suoi affari? Il figlio Donald jr e il genero Kushner? I consiglieri di una vita, come Manafort?
Le domande Sedici quesiti sulla collusione coi russi, 26 riguardano l’ostruzione della giustizia
Dietro le quinte Il primo interrogativo che aleggia sul dossier: chi vuole proteggere il presidente?
Il presidente rischia il corto circuito personale, prima ancora che politico. In questo scenario vanno collocate le analisi giuridiche e le discussioni in corso tra gli avvocati e i consiglieri della Casa Bianca.
Se cioè il presidente possa essere costretto a testimoniare da una convocazione («sub poena») del Super procuratore. Oppure se abbia la facoltà di proteggersi, invocando il Quinto emendamento della Costituzione («nessuno può essere costretto a testimoniare contro se stesso») o i privilegi del Presidente. Trump cerca una via d’uscita.