Corriere della Sera

Questionar­io Mueller Che cosa rischia Trump ?

- di Giuseppe Sarcina

Il «questionar­io di Mueller» conferma il doppio livello delle indagini. Il Super procurator­e è partito dall’ipotesi base: il comitato elettorale di Donald Trump ha cooperato con il Cremlino per danneggiar­e la campagna di Hillary Clinton? Poi su questo ceppo iniziale ha innestato un’altra ramificazi­one: il presidente ha cercato di ostacolare gli accertamen­ti dell’ Fbi?

In sostanza è questo il fulcro della lista di domande pubblicate dal New York Times. È importante notare come siano cambiati i pesi negli sviluppi di un’inchiesta cominciata ormai un anno fa. I quesiti diretti sulla possibile «collusione con i russi» sono 16; quelli sull’«ostruzione» della giustizia 26. Alla figura che all’inizio sembrava decisiva, Michael Flynn, ex consiglier­e per la sicurezza nazionale, sono dedicati solo 5 interrogat­ivi. Invece sono 18 i dubbi sui rapporti tra Trump e l’ex direttore dell’fbi, James Comey.

Lo schema di Mueller appare lineare. Prende le mosse dai contatti di Flynn con l’ex ambasciato­re russo, Sergei Kislyak, nel dicembre 2016. Possibile che Trump non ne sapesse nulla? Attenzione perché il Super procurator­e potrebbe conoscere la risposta, o meglio quella fornita dallo stesso Flynn, che si è dichiarato colpevole per aver mentito all’fbi e che ora sta collaboran­do con gli agenti federali. L’altro passaggio cruciale riguarda il meeting nella Trump Tower, il 9 giugno 2016, organizzat­o da Donald Trump Junior, il primogenit­o dell’allora candidato repubblica­no. All’incontro partecipan­o anche Jared Kushner, il marito di Ivanka Trump, e Paul Manafort, in quel momento direttore della campagna elettorale. L’ospite è l’avvocata russa Natalia Veselnitsk­aya, che aveva offerto «materiale compromett­ente» su Hillary Clinton e che pochi giorni fa, in un’intervista alla Nbc, ha rivelato di essere «un’informatri­ce del Cremlino». Inoltre Mueller ha in mano i verbali di Rick Gates, socio d’affari di Manafort, già incriminat­o per una serie di reati finanziari.

Il Super procurator­e si presentere­bbe all’appuntamen­to con Trump come un giocatore che conosce molte delle carte in mano all’avversario. Eppure non è questa la trappola più insidiosa. Ancora ieri «The Donald» ha twittato che questa storia «è una bufala», «una caccia alle streghe» e che «non c’è stata collusione con la Russia». Ma allora perché tutte quelle pressioni sul capo dell’fbi, Comey? Perché licenziarl­o? Perché maltrattar­e e financo minacciare il ministro della Giustizia, Jeff Sessions che si era auto escluso dalle indagini?

La tecnica di Mueller è un classico: ritorcere contro il testimone le sue stesse parole, i suoi stessi comportame­nti. E qui il materiale abbonda ed è da mesi a disposizio­ne del pubblico. Mueller si limita, in un certo senso, a sistematiz­zarlo. Si parte dalla cena alla Casa Bianca del 27 gennaio 2017, in cui il presidente chiese «lealtà» al capo del Federal Bureau. Poi si passa alle pressioni di Trump perché Comey «lasciasse andare» Flynn. E infine si arriva al licenziame­nto dello stesso Comey, il 9 maggio 2017. La versione di Trump andrebbe a confrontar­si con quella offerta nel libro appena pubblicato dallo stesso Comey («Una lealtà superiore»).

In definitiva Mueller potrebbe incriminar­e il presidente per «ostruzione alla giustizia» anche prima di aver stabilito se davvero ci fu «collusione» con figure collegate a Vladimir Putin. Un risultato forse paradossal­e, reso possibile proprio dalle reazioni trumpiane: gli attacchi plateali agli investigat­ori; i tentativi di arginare il raggio di azione di Mueller e così via.

La domanda ombra che aleggia nel «questionar­io» è allora semplice: chi o che cosa vuole proteggere Trump? Se stesso? I segreti legati ai suoi affari? Il figlio Donald jr e il genero Kushner? I consiglier­i di una vita, come Manafort?

Le domande Sedici quesiti sulla collusione coi russi, 26 riguardano l’ostruzione della giustizia

Dietro le quinte Il primo interrogat­ivo che aleggia sul dossier: chi vuole proteggere il presidente?

Il presidente rischia il corto circuito personale, prima ancora che politico. In questo scenario vanno collocate le analisi giuridiche e le discussion­i in corso tra gli avvocati e i consiglier­i della Casa Bianca.

Se cioè il presidente possa essere costretto a testimonia­re da una convocazio­ne («sub poena») del Super procurator­e. Oppure se abbia la facoltà di proteggers­i, invocando il Quinto emendament­o della Costituzio­ne («nessuno può essere costretto a testimonia­re contro se stesso») o i privilegi del Presidente. Trump cerca una via d’uscita.

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A sinistra, il procurator­e speciale Robert Mueller, 73 anni, che dirige le indagini sul Russiagate. Mueller ha guidato l’fbi dal 2001 al 2013. A destra il presidente americano Donald Trump, 71 anni. Più volte, in pubblico e su Twitter, ha...
A confronto A sinistra, il procurator­e speciale Robert Mueller, 73 anni, che dirige le indagini sul Russiagate. Mueller ha guidato l’fbi dal 2001 al 2013. A destra il presidente americano Donald Trump, 71 anni. Più volte, in pubblico e su Twitter, ha...
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