Corriere della Sera

La Rivoluzion­e di Velluto paralizza l’armenia

Sciopero generale nello scontro tra l’opposizion­e e il governo. Che però ammette la sconfitta

- Davide Frattini Francesco Battistini

La crisi

● Migliaia di armeni hanno manifestat­o nella capitale Yerevan, dopo l’appello del leader dell’opposizion­e Nikol Pashinyan, la cui candidatur­a come premier è stata bocciata dai Repubblica­ni dell’ex primo ministro Serzh Sargsyan

● Sargsyan, al potere dal 1991 (prima era presidente) si è inimicato gli elettori cercando di restare al potere oltre i due mandati consecutiv­i concessi

Portano una finta bara davanti al Parlamento di Yerevan, l’adornano di fiori, inscenano un funerale: «Oggi muore questo regime!». Mettono di traverso trecento macchine sulle autostrade, isolano la capitale, bloccano i binari di treni e metrò: «Andiamo avanti finché i corrotti e i ladri non se ne vanno!». Fermano le auto verso l’aeroporto e fanno scendere tutti, si va a piedi, qualche volo viene cancellato e i piloti aderiscono alla protesta: «Sciopero generale!». Occupano i palazzi governativ­i delle altre città, da Gyumri a Maralik, e chiedono ai sindaci d’unirsi a loro: «Vogliamo la vittoria!».

La chiamano la Rivoluzion­e di Velluto, perché dura dal 13 aprile e non ha provocato morti, ma ieri sotto il morbido s’è temuto il pugno di ferro: «Non provate a mandare in piazza l’esercito — ha avvertito a un certo punto Nikol Pashinyan, leader dell’opposizion­e Yelq —, convincere­mo i soldati a protestare con noi. Stavolta non si molla! E attenti: potrebbe diventare uno tsunami».

Armenia armata. Sei giorni per evitare (o scatenare) il caos. Sull’orlo di un’altra Ucraina. Uno dei Paesi più immobili del vecchio impero sovietico, dove dagli anni Novanta la benedizion­e di Mosca fa governare sempre gli stessi, martedì prossimo proverà a darsi un nuovo premier e una nuova politica: sull’autocandid­atura di Pashinyan, 42 anni, t-shirt e berretto, ex giornalist­a già finito in galera per le sue contestazi­oni, alla fine della giornata di scioperi dice d’essere d’accordo anche il suo grande nemico Serzh Sargsyan. Il Partito repubblica­no che comanda in Armenia, e che ha permesso a Sargsyan di regnare nell’ultimo decennio, alla fine accetta il cambio di stagione. Quasi inevitabil­e: con un contestato referendum il presidente Sargsyan aveva ritoccato i poteri presidenzi­ali e in aprile (non potendosi dare un terzo mandato, vietato dalla Costituzio­ne) li aveva riversati tutti sul primo ministro, cioè se stesso, perché a quella carica s’era poi fatto eleggere dal Parlamento (che il suo partito controlla). In piazza Supporter del leader dell’opposizion­e Pashinyan nel centro della capitale Yerevan

(Foto Afp)

teressi commercial­i delle potenze straniere».

Nel discorso di lunedì il presidente ha anche proclamato che Adolf Hitler favorì l’immigrazio­ne ebraica nella regione dopo aver raggiunto un accordo con quella che è oggi la banca Leumi in Israele: agli ebrei sarebbe stato garantito di poter trasferire tutte le ricchezze. Queste rivisitazi­oni sono state smontate ieri dal museo dell’olocausto a Washington che le ha definite «pericolose e inaccurate»: «I nazisti credevano che i tedeschi incarnasse­ro una razza superiore e che gli ebrei rappresent­assero una minaccia alla purezza germanica. Per questo furono sterminati».

Abu Mazen si vanta di essere un esperto e di aver approfondi­to lo studio sulle origini dell’olocausto. Cinque anni fa ha dichiarato di «avere nel cassetto una settantina di libri ancora da pubblicare» dove riprende le tesi della sua ricerca di dottorato del 1982.

Il titolo non lascia dubbi sul tentativo di riscrivere la Storia («L’altro lato: la relazione segreta tra il nazismo e il sionismo») come i capitoli dove spiega che «il movimento sionista guidò una campagna di incitament­o contro gli ebrei in Germania» per spingere il regime allo sterminio, così da aumentare il terrore e l’immigrazio­ne verso la Palestina in cerca di salvezza.

@dafrattini Un colpo di mano. Un mezzo golpe. Abbastanza per muovere le piazze e costringer­e l’eterno Sargsyan, improvvisa­mente mite e rassegnato, alle dimissioni: «E va bene. Pashinyan aveva ragione, io torto. Esaudisco le vostre richieste».

La crisi è finita o è solo all’inizio? Protettora­to putiniano, l’armenia deve guardarsi da vicini ostili (i turchi del Medz Yeghern, il grande genocidio, più gli azeri del gas e del conteso Nagorno-karabakh) e soprattutt­o dalle attenzioni russe. Le idee di Pashinyan non piacciono a Mosca: l’aspirante premier vuole un riavvicina­mento all’ue e alla Cina, più dialogo con gli Usa e qualche mese fa ha proposto di rivedere gli accordi economici coi russi.

Dal Cremlino sono arrivate telefonate preoccupat­e: «Spero in una soluzione rapida», ha raccomanda­to lo Zar. E i deputati della Duma si sono presentati subito a Yerevan in delegazion­e.

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