Corriere della Sera

«Un dolore Ma non dite che è uno sport pericoloso»

- Valerio Vecchiarel­li

Iplaccaggi fatti e subiti non si contano, quella particolar­e azione del rugby era il marchio di fabbrica di Orazio Arancio, 34 volte azzurro, esponente di quella generazion­e di fenomeni che decise di andare contro le consuetudi­ni obbligando i padroni dell’ovale a spalancare alla piccola Italia le porte del Sei Nazioni. Oggi è responsabi­le in Italia del Rugby Seven, specialità olimpica, e consiglier­e nazionale del Coni. Dalla sua Catania parla con un filo di voce della morte di Rebecca: «È un momento di immenso dolore non solo per il rugby, ma per tutto lo sport italiano. Quando se ne va un ragazzo che gioca per dare sfogo alla passione, al divertimen­to, al piacere di fare squadra, non ci sono parole. Il rugby è una grande famiglia, oggi abbiamo tutti perso un nostro figlio».

Sport di contatto. Quindi sport pericoloso?

«Purtroppo quello che è successo è solo figlio di una casualità carogna. Può succedere per strada, a casa, in palestra durante l’ora di educazione fisica o una passeggiat­a in bicicletta. Il rugby non c’entra nulla, non ricordo un altro caso del genere nei 40 anni passati dentro questo sport, di sicuro è la prima volta che una tragedia così colpisce il rugby femminile italiano. Se consideria­mo che in Italia ci sono 70 mila tesserati (9 mila le donne, ndr) e che ogni weekend vanno in campo almeno 30 mila giocatori, ecco che purtroppo possiamo parlare solo di una tragica fatalità».

Eppure il problema della sicurezza per i giocatori di alto livello è da tempo oggetto di grandi attenzioni.

«Non è un caso se è il primo sport ad avere istituito una commission­e medica internazio­nale che ha messo a punto un protocollo da applicare appena, durante una gara, ci sia il sospetto che un atleta possa aver subito un trauma cranico. C’è molta attenzione nella prevenzion­e, molto più che in altri sport».

Dopo quello che è successo, oggi se la sentirebbe di consigliar­e a un genitore di mandare il proprio figlio su un campo da rugby?

«Oggi più di prima, soprattutt­o per il rispetto di Rebecca, che giocava da anni per passione e aveva trovato nel rugby un motivo di felicità. Lo ha chiesto suo papà Giancarlo, lo chiedo io: andiamo avanti con lei a guidarci dal paradiso dei rugbisti. Quello che mi fa molta più paura per i nostri ragazzi non è un sano placcaggio, ma la dannata sedentarie­tà che li svuota di passione».

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Nazionale Orazio Arancio, 50 anni, ex azzurro e consiglier­e della Federazion­e Rugby

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