La stampa 3D? Non solo vantaggi
Sembra che non siamo più capaci di misurare i pericoli di guerra e le sue potenzialità di distruzione. È che le innovazioni tecnologiche stanno creando problemi nuovi anche alla statistica militare. Il caso di Cody Wilson diventò famoso nel 2013: lo studente dell’arkansas, che si definiva crypto-anarchico, fu il primo a stampare in 3D una pistola in plastica capace di sparare una pallottola. Mise il file per la stampa online e prima che le autorità lo bloccassero questo fu scaricato centomila volte. Da allora, la tecnologia 3D additiva ha fatto passi da gigante. Il produttore americano di armamenti Rayethon, per dire, ha realizzato un missile per circa l’80% fatto di pezzi prodotti da stampanti tridimensionali. Come in molti altri settori, anche nelle armi questa nuova tecnologia è parte del presente e del futuro. Da un lato si può immaginare che i mercanti d’armi non si limiteranno più a caricare container di fucili nascosti sotto caschi di banane: spediranno via email i file con i quali fare funzionare le stampanti. Dall’altro, c’è un problema di controlli e di misurazione: nei giorni scorsi, lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha prodotto uno studio nel quale sostiene che gli sviluppi recenti nella stampa 3D sono «un’illustrazione impressionante della portata multipla del controllare la tecnologia rilevante per la proliferazione». Misurare quante email o messaggi digitali circolano con le istruzioni per realizzare un carrarmato diventa un problema. La stessa difficoltà si incontra nel dare una dimensione reale alla produzione e al commercio di armi. La stessa Sipri ha indicato che nel 2016 il fatturato è arrivato a 374,8 miliardi di dollari, l’1,9% in più che nel 2015. Non si può però stabilire quanta produzione sfugga a questo calcolo proprio a causa del trasferimento di tecnologia (che se ufficiale entra nei controlli sulla proliferazione degli armamenti ma se «in nero» no). La stampa 3D — un’innovazione straordinaria — non è l’unica a porre il problema della misurazione dei conflitti in corso o in preparazione. Il cyber-warfare che attraverso impulsi digitali può mettere fuori gioco intere infrastrutture di un Paese è un’altra novità che sfugge al calcolo. Come le operazioni cosiddette di sharppower, cioè la falsificazione dei flussi informativi per ottenere vantaggi strategici. Ciò che non si misura può fare più paura.