Von Dohnányi: con lui Brahms non è retorico
L’ultimo concerto sinfonico della stagione scaligera vede impegnati Christoph von Dohnányi sul podio e Rudolf Buchbinder al pianoforte per il Concerto per pianoforte n.22 di Mozart. Acqua fresca per loro, ma non parlano la stessa identica lingua e l’esito non è convincente quanto potrebbe. Suoni, tempi e intenzioni non sono a fuoco. Ma quando von Dohnányi suona Beethoven, Egmont, e soprattutto Brahms, la Terza, gli esiti sono magnifici. Sembra partire dal presupposto, l’88enne berlinese, che se c’è un autore che non fu mai schiavo della battuta, intesa come gabbia ritmica, questi era Brahms, proprio in quanto profondo studioso della antica polifonia. E così l’esecuzione è tutta «orizzontale», in virtù di un suono omogeneo (spesso Dohnányi attenua le dinamiche di violini e contrabbassi) e di un legato d’alta scuola, quello che produce il piacere di un fraseggio libero e pieno, ma mai retorico. Ne risulta una Terza nobile, levigata, eburnea, «tedeschissima», dentro cui ritrovare Bach e Schütz, oltre a Schumann e Beethoven.
L’anno scorso von Dohnányi venne a dirigere Beethoven portandosi idee forse più complesse di quante l’orchestra potesse assimilare in poche prove. Questa volta i professori della Filarmonica si esibiscono in una prova smagliante e sono i primi a rendergli omaggio tributandogli calorosi applausi. Sembra cioè scoccata quella scintilla per cui potrebbe essere gran cosa l’elektra di Strauss del prossimo autunno. Intanto è da non perdere questo bellissimo concerto (in replica stasera e sabato).