Relazioni tra figli e genitori nella rilettura di una favola
Chi è Cenerentola? O che cosa rappresenta? Lo spiegò in modo esauriente Bruno Bettelheim ne Il mondo incantato, un libro del 1976 sui significati psicoanalitici delle fiabe. Erano gli anni della psicoanalisi, il puro e semplice racconto sempre si risolveva nel suo rovescio tenebroso, rimosso, da nascondere agli occhi dell’infanzia ma anche, nella vita quotidiana, alla coscienza dell’adulto.
A Cenerentola, il grande viennese dedicò quasi quaranta pagine. Riassumere è impossibile. Ricorderò solo che Bettelheim si sofferma in particolare su tre versioni della tradizione occidentale, su quella di Basile, e su quelle di Perrault e dei fratelli Grimm. La Gatta Cenerentola è «una delle pochissime storie dove il destino dell’eroina è creato da lei stessa, è il risultato delle sue trame e del suo misfatto. In tutte le altre versioni, ella è in superficie completamente innocente: non fa niente per suscitare in suo padre il desiderio di sposarla». Perrault, che era un cortigiano, ammorbidisce, lima, svilisce. La Cenerentola dello scrittore francese «è melensa e insipida nella sua dolce bontà, e completamente priva d’iniziativa (il che spiega perché Disney scelse la versione di Perrault)». Tutta diversa è la novella dei Grimm: «In essa Cenerentola era obbligata ad andare a dormire in mezzo alla cenere».
Ma qual è il fatto cruciale? È naturalmente edipico. Vi sono due modi di affrontare la questione. Nel primo, il rapporto è tutto e solo tra il padre e la figlia (in relazione alla madre e alle altre figlie). Nel secondo, il rapporto è tra le donne di casa: madre (o meglio: matrigna, la matrigna sostituisce la madre al fine di comunque ammorbidire le tensioni familiari), madre, dicevo, e sorellastre contro Cenerentola. Rispetto al padre, Cenerentola è un evidente ingombro. Che cosa fa invece Joël Pommerat, un moderno, un francese 50enne? Fa quello Protagonisti Irene Canali (Cenerentola) e Valerio Amoruso (il padre) nello spettacolo ospitato all’india di Roma che fanno i moderni (una parola che nella sua versione viene ripetuta tre volte e ogni volta chi la pronuncia alza due dita dell’una o dell’altra mano per metterla tra virgolette).
I moderni riempiono le fiabe di cose quotidiane, disincantano il mondo, a volte addirittura farciscono per rendere la materia più simile a noi. Se si leggono le fiabe di Perrault o dei Grimm, le pagine sono cinque o sei. La commedia di Pommerat è lunga, lo spettacolo che ne ha tratto Fabrizio Arcuri all’india di Roma dura due ore (non una notazione critica ma oggettiva).
In questa nuova storia vi sono psicologie, intrecci, varianti fantasiose: per es., che Cenerentola non capisce che cosa le sta dicendo la madre morente, crede di capire che non deve mai smettere di pensarla, altrimenti morirà per sempre; o che la casa dove andranno ad abitare il padre e la bambina con la futura nuova moglie e le sue due figlie è molto stretta. In scena vi sono quattro scatoloni bianchi, simpatici e maneggevoli. E vi sono sette attori colorati e scelti in modo perfetto in relazione al proprio personaggio. Il tono è di commedia. Lo spettacolo corre via veloce.