Froome, demonio inseguito dal fantasma del Ventolin «Non ci penso, io pedalo»
Lui promette un grande Giro, ma Dumoulin: «Io non sarei qui»
con il caschetto aerodinamico in testa, quando frullerà in montagna e attaccherà in discesa, quando si difenderà dai morsi di Fabio Aru mordendo più forte, da quello squalo senza branchie che è. Sarà un Giro di arsenico e vecchi merletti, che da parte della Federazione internazionale avrebbe meritato un trattamento diverso: caso discusso, pena o assoluzione certa. Anche beautiful Tom Dumoulin, smagliante sotto il pettorale numero uno da campione in carica, è contrario: «Io al suo posto non avrei partecipato. La sua presenza non è un bene per il ciclismo. Magari vincerà e, dopo poche settimane, decideranno che perderà il successo». Froome abbozza, alzandosi sui pedali: «Capisco la frustrazione, ciascuno ha diritto alle sue opinioni e comprendo che la mancanza di informazioni non aiuti. Però io ho il diritto di essere qui e di lottare per la vittoria, così come ho il diritto di dimostrare che non ho sbagliato».
La crono di apertura è subito una grande opportunità. La foto della prima maglia rosa incoronata a Gerusalemme (Reuters) Tour per Froome: 2013, 2015, 2016 e 2017. Ha vinto anche due bronzi olimpici a cronometro farà il giro del mondo, altro che Grand Départ a Nantes (vero caro vecchio Tour?). «Indossarla subito potrebbe essere positivo a livello di fiducia e sensazioni. Ma il Giro è lungo tre settimane».
Aru manca da due stagioni, Froome addirittura da otto anni: era troppo impegnato in Francia (4 vittorie) per pensare all’italia. Il killer seriale aveva bisogno di una nuova sfida da infilare nel tascapane: vincesse il Giro 2018, che segue i trionfi a Tour e Vuelta 2017 (ma la corsa spagnola è minacciata dalla positività del 7 settembre, al termine della 18esima tappa: quantità doppia di salbutamolo rispetto al consentito), eguaglierebbe Eddy Merckx, capace del triplete tra il 1972 e il 1973. «Uno dei motivi che mi hanno spinto ad accettare di partecipare» ammette.
La verità è che a Gerusalemme non si poteva non esserci. Dumoulin, appena atterrato, ha preso una bici da corsa ed è andato a pedalare nella città vecchia («Mi guardavano un po’ strano...»), Froome si è allenato con i ragazzini della squadra junior israeliana. Il terzo incomodo, Aru, è già concentrato sui dettagli: il vento («Nel deserto sarà un elemento da non sottovalutare»), il caldo («Mi preoccupa l’idratazione»), i saliscendi di una crono assai vallonata («Non sarà facile»). Contro il reprobo Froome e il modello Dumoulin, Fabio ha un solo risultato a disposizione: «Non mi sono mai sentito giovane perché ho sempre avuto grandi responsabilità sulle spalle. Ma sono a un punto cruciale della carriera: è il momento giusto per vincere il Giro». Inshallah.
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