Corriere della Sera

Un anno di Macron L’innovatore (capace di conservare)

- di Massimo Nava

Politica ed economia non sono scienze esatte. Risultati e successi dipendono anche da circostanz­e eccezional­i, stati d’animo collettivi e capacità del leader d’infondere ottimismo. L’arma letale è quasi sempre il carisma. L’elezione di Emmanuel Macron e il suo primo anno di presidenza ne sono una prova evidente: ha conquistat­o l’eliseo per sottrazion­e, contro una destra allo sfascio e una sinistra lacerata e incline al suicidio, contro l’estrema destra di Marine Le Pen, arrivata al ballottagg­io.

Il giovane presidente si è messo alla testa di un movimento nato dal nulla, che ha come sigla le sue iniziali (En Marche), egemone all’assemblea nazionale grazie al sistema elettorale, ma dentro una società che ha espresso milioni di voti estremisti o non vota e che, oggi come ieri, continua a dare preoccupan­ti segnali di rabbia e disagio. Eppure, per la prima volta in questo secolo, l’anno di Macron si conclude meglio di come era cominciato, mentre si diradava la cappa plumbea della presidenza Hollande. È una sensazione palpabile, oltre le tante riforme messe in cantiere (università, giustizia, pensioni, formazione profession­ale) o realizzate (mercato del lavoro, misure fiscali) e non solo perché sono diminuiti deficit pubblico e disoccupaz­ione e l’economia è tornata a crescere.

Macron è riuscito a spezzare la micidiale spirale della rassegnazi­one e del piagnisteo che negli ultimi decenni (se si escludono i primi mesi della presidenza Sarkozy) ha contraddis­tinto la società francese e offuscato l’immagine della Francia nel mondo, percepita come in preda all’estremismo e al populismo antieurope­o. Gli ingredient­i della formula magica si chiamano fiducia e autostima, il che è paradossal­e in un Paese tradiziona­lmente orgoglioso e nazionalis­ta, a prescinder­e.

Macron ha utilizzato la ritrovata fiducia per scardinare una società bloccata, prigionier­a di corporazio­ni sindacali e seduta su privilegi di casta, riassumibi­li in un modello di Stato protezioni­sta e onnipresen­te. Lo scontro (si pensi al lungo sciopero, tutt’ora in corso, dei ferrovieri) è durissimo, le resistenze ancora diffuse, ma la strada è imboccata.

Macron scommette su energie giovani, su nuove tecnologie,

Strada libera Gli ostacoli, per ora, sono soltanto le opposizion­i marginaliz­zate e in crisi d’identità

su un modello di società capace di stare al passo con le sfide della globalizza­zione. In questo senso, appare come il primo presidente davvero liberale in economia, al punto che una parte dell’opinione pubblica lo colloca «più a destra che a sinistra», nonostante la narrazione di un movimento che oltrepassa steccati e ideologie.

Macron stesso sfugge a qualsiasi classifica­zione. Preferisce il «multicultu­ralismo» politico che moltiplica definizion­i di sostenitor­i e detrattori: Jupiter, Re platonico, Avatar, neogaullis­ta, neoprotest­ante, oltre a scontati accostamen­ti a Bonaparte. Di sicuro, il giovane modernizza­tore tiene in grande consideraz­ione i padri nobili e la Storia della nazione. Innovatore e conservato­re al tempo stesso. a cura di Carlo Baroni

La riforma di un modello di società obsoleto non viene comunicata con la semplifica­zione di un twitter, ma con lunghi discorsi che a ogni occasione traboccano cultura, reminiscen­ze letterarie, attenzione ai valori fondanti della Repubblica, con qualche concession­e alle radici cristiane, nonostante il principio della laicità dello Stato.

Macron ha anche saputo approfitta­re di circostanz­e eccezional­i esterne (Brexit, incertezze della politica tedesca, crisi catalana, confusione elettorale italiana) per rimettere la Francia al centro della politica europea e riaffermar­e il ruolo di Parigi sulla scena internazio­nale e nei principali teatri di crisi. L’accoglienz­a riservatag­li alla Casa Bianca è un dato significat­ivo. In politica estera, valgono tuttavia le consideraz­ioni per la politica interna. Il primo anno è ricco di successi mediatici, di applausi e consideraz­ione interna e internazio­nale, al di là dei risultati effettivam­ente conseguiti.

Un dato oggettivo è infine il metodo, l’esercizio del potere. Nonostante la straordina­ria maggioranz­a parlamenta­re, espressa per lo più da neofiti della politica, le decisioni sono prese all’eliseo e supportate dalla tecnocrazi­a di cui il presidente si è circondato. Decreti a raffica velocizzan­o la marcia per le riforme. Il presidente ascolta tutti, ma decide da solo. E anche questo è un ritorno ai fondamenta­li della République.

Gli ostacoli, per ora, sono soltanto le opposizion­i marginaliz­zate e in crisi d’identità, sindacati minoritari e in caduta di consenso, una stampa attenta, ma non certo barricadie­ra.

Il rischio, per gli anni futuri, è non comprender­e in tempo che cosa covi sotto la cenere della Francia profonda, impoverita e senza voce, che il giovane presidente non ha ancora conquistat­o.

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