Corriere della Sera

Tra i leader Di Maio è terzo

- di Nando Pagnoncell­i

Dopo il voto in Molise e Friuli Venezia Giulia il sondaggio Ipsos rileva il cambio di gerarchia. Di Maio diventa terzo, dopo Salvini e Gentiloni.

Dopo le elezioni regionali in Molise e nel Friuli Venezia Giulia lo stallo politico continua e la faticosa ricerca di una maggioranz­a di governo sembra senza via d’uscita. Le cronache recenti si sono arricchite di altre vicende che hanno suscitato molto clamore, da quella della colf che ha riguardato il presidente della Camera Fico, all’intervento di Renzi nella trasmissio­ne di Fabio Fazio. Con il sondaggio odierno abbiamo voluto verificare, a distanza di due settimane, in quale misura è cambiato il clima politico tra gli italiani.

Iniziamo con gli orientamen­ti di voto che fanno segnare due variazioni di rilievo, rappresent­ate dalla crescita della Lega che passa dal 19,5% di due settimane fa al 21,2% odierno (+1,7%) e dal calo del Pd che scende dal 19,5% al 18,3% (-1,2%). Al primo posto si conferma il M5S con il 33,7% (+0,2%), seguito da Lega e Pd, quindi Forza Italia con il 13,1% (+0,2%), Fratelli d’italia (3,6%, in calo di 0,7%), Liberi e Uguali (2,8%) e Più Europa (2,2%). Il quadro complessiv­o, quindi, conferma lo scenario emerso il 4 marzo: il centrodest­ra è la prima coalizione e sfiora il 39% dei consensi (avvicinand­osi alla cosiddetta «soglia implicita» del 40% che potrebbe garantire la maggioranz­a), i pentastell­ati consolidan­o il loro primato, il centrosini­stra arretra di 1,4%, mentre i partiti più piccoli, penalizzat­i da una minore visibilità mediatica, lasciano sul terreno qualche decimale e l’area dell’astensione si mantiene sui livelli sostanzial­mente stabili.

L’indice di gradimento dei leader fa registrare un cambiament­o nelle posizioni del podio, infatti mentre in aprile Di Maio (indice 45) precedeva Salvini (43) e Gentiloni (41), oggi Salvini (44) prevale su Gentiloni (43) e Di Maio (37), scivolato al terzo posto con un calo di 8 punti. A seguire Fico (35, in calo di 4 punti), Meloni (29), Casellati (24, in crescita di 5 punti dopo la ribalta del mandato esplorativ­o), Berlusconi (23) e Martina (21). Chiudono la graduatori­a Renzi (15) e Grasso (14), entrambi in flessione.

Un ulteriore indicatore del clima politico è rappresent­ato dal giudizio che gli elettori esprimono sull’operato dei partiti. A tale proposito è interessan­te analizzare non solo la graduatori­a ma anche la parabola delle singole forze in campo. Al primo posto si colloca la Lega, il cui operato è gradito dal 46% degli elettori, in costante crescita dal mese di febbraio in poi (+ 18%). A seguire il M5S, con il 41% dei consensi, in crescita di 8 punti rispetto a febbraio, ma in calo di 10 punti rispetto al picco raggiunto a fine marzo. A seguire Fratelli d’italia, sostenuta dal consenso del 27%, in crescita del 5% rispetto a febbraio nonostante la lieve flessione nelle intenzioni di voto (è un partito apprezzato che però non incrementa l’elettorato), quindi Forza Italia (23%, in calo del 6%), il Pd (19%, in calo dell'11%) e Leu (10%, in calo del 9%).

Lo scenario che emerge dopo le regionali evidenzia più un cambiament­o di opinione nei confronti di leader e partiti che non in termini di orientamen­ti di voto. Ne consegue che Salvini e la Lega aumentano in misura più che proporzion­ale rispetto all’aumento degli elettori virtuali registrato nei sondaggi e per converso Di Maio e il M5S calano significat­ivamente nelle opinioni pur aumentando di un punto nell’elettorato e, dato da non sottovalut­are, facendo comunque registrare giudizi nettamente più positivi rispetto alla vigilia delle elezioni di marzo. Il Pd, alle prese con complicate dinamiche interne, fatica a riprenders­i dal negativo risultato elettorale.

Come si spiega questa dinamica? Il migliorame­nto dei giudizi dell’opinione pubblica dipende dalla capacità di rispondere alle aspettativ­e di una platea più vasta rispetto a quella rappresent­ata dal proprio elettorato. L’immagine del M5S è migliorata molto soprattutt­o presso gli elettori del centrodest­ra per poi ridiscende­re sia per il veto su Berlusconi (che ha portato ad alienare le simpatie per il movimento da parte degli elettori di Forza Italia), sia per il fallimento (provvisori­o?) della trattativa con la Lega e l’avvio di un’ipotesi di accordo con il Pd che hanno determinat­o il ritiro della fiducia di gran parte dei leghisti nei confronti dei pentastell­ati. In queste settimane di trattative fra le forze politiche abbiamo quindi assistito ad un’altalena di aspettativ­e disattese che non hanno modificato, se non parzialmen­te, gli orientamen­ti di voto ma hanno cambiato sensibilme­nte gli atteggiame­nti rispetto ai leader, ai partiti, alle ipotesi di alleanze e perfino all’eventualit­à di nuove elezioni.

Questa fluidità delle opinioni, a fronte di una sostanzial­e stabilità nelle scelte di voto, è in parte riconducib­ile anche al ritorno ad un sistema proporzion­ale che è apparso asincrono rispetto alle attese degli elettori i quali, a torto o a ragione, si sono recati alle urne convinti di scegliere maggioranz­a e leader e di conoscere il vincitore «alla sera delle elezioni». Non a caso, come abbiamo osservato la scorsa settimana, aumenta la quota di coloro che non indicano alcuna preferenza per le diverse ipotesi di maggioranz­a perché, piuttosto che un accordo tra forze politiche diverse e leader sempre più inclini a dichiarazi­oni reciprocam­ente ostili, meglio tornare a votare o stare all’opposizion­e. In fondo il nostro è un Paese «contro» e si può sempre contare su una rendita «d’opposizion­e».

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