Corriere della Sera

Il fondo Usa conquista Tim

Il controllo a Singer lo «psicologo», uomo da 35 miliardi di dollari. La sconfitta di Vivendi Vittoria di Elliott e Cdp. Calenda: «I francesi? Hanno fatto malissimo»

- De Rosa L. Salvia, M. E. Zanini

Svolta al vertice della Tim. L’assemblea dei soci assegna al fondo Elliott la maggioranz­a nel consiglio di amministra­zione. Un ribaltone che porta per la prima volta una società big di Piazza Affari nell’orbita di un fondo d’investimen­to. Battuta Vivendi. Il ministro Calenda dice che «i francesi hanno fatto i ganassa» e prepara la multa per la «golden power». Nel cda di Tim entrano tra gli altri Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari e Luigi Gubitosi.

L’assemblea Tim è solo l’ultimo esempio utile per capire la strategia di Paul Singer, uomo da 35 miliardi di dollari che nel giro di un anno è diventato protagonis­ta delle principali battaglie finanziari­e italiane. Sotto traccia, quota dopo quota, il padre del fondo Elliott ha messo ieri il punto alla guerra con Vivendi, prendendo dieci posti su quindici nel cda del gruppo italiano, ossia il suo controllo, con una quota diretta del capitale dell’8,8%. Implacabil­e, come viene spesso descritto negli ambienti della finanza. Attivo, forse anche troppo, sulla scena internazio­nale, l’imprendito­re statuniten­se si fa notare per la prima volta a Piazza Affari nel 2017 con la scalata ad Ansaldo Sts di cui oggi il fondo Usa è il secondo azionista al 31%, dietro i giapponesi di Hitachi. Proprio la vendita da parte di Leonardo (allora Finmeccani­ca) al gruppo nipponico della società di segnalazio­ne ferroviari­a, assieme ad Ansaldo Breda cedute, secondo Singer, a un prezzo inferiore rispetto alle stime, aveva dato il via a una battaglia a colpi di Opa che ha portato Paul Singer a salire nel capitale del gruppo italiano.

Tim finisce nel mirino circa un anno fa (pur essendone Elliott azionista da circa vent’anni) quando le azioni in Borsa valevano circa 0,7 euro. Una soglia che di fatto rendeva Tim scalabile, anche a fronte di un atteggiame­nto di Vivendi (azionista di riferiment­o) considerat­o conflittua­le e poco incisivo per la creazione di valore. Elliott si è mosso con cautela, incastrand­o pezzo dopo pezzo fino a raggiunger­e una posizione importante nel capitale di Tim. Posizione necessaria a lanciare l’attacco a Vivendi, coadiuvato da Vitale & C, che aveva aperto un dossier sul gruppo telefonico studiando un piano per cambiare verso alla società. È Giorgio Furlani, responsabi­le per l’europa del fondo Usa, a ritenere la manovra possibile. Il piano su cui Vitale & C. aveva messo al lavoro il team guidato da Roberto Sambuco prevedeva lo scorporo della rete, la trasformaz­ione di Tim in public company e la conversion­e delle azioni risparmio in azioni ordinarie.

Comincia da qui il ride del «pirata della finanza» Singer che in effetti ha sempre gestito la partita da remoto assieme al figlio Gordon, responsabi­le dell’ufficio di Londra. All’inizio di marzo il fondo esce allo scoperto con le sue intenzione, di giorno in giorno sempre più chiare: strappare Tim a Vivendi. Un’operazione non solo di carattere industrial­e. Tra le carte a disposizio­ne del fondo Elliott infatti non hanno contato solo le dichiarazi­oni sul valore dell’azienda raddoppiab­ile in un anno. A contribuir­e all’esito positivo della votazione è stata anche la lista di consiglier­i che ha presentato in assemblea, assolutame­nte indipenden­ti e in grado di rappresent­are un elemento di discontinu­ità rispetto al precedente board. Tra i nomi c’è anche quello di Alfredo Altavilla, responsabi­le Emea di Fca che nelle ultime settimane è salito alla ribalta nell’ambito della battaglia che Singer ha deciso di muovere contro Hyundai, dopo averci investito un miliardo. In molti hanno visto nell’intenzione di Singer (che ha proposto di aggregare la casa automobili­stica e la componenti­stica) un legame con il gruppo guidato da Sergio Marchionne.

Chiusa la partita Tim, dunque, il fondo Elliott si trova ad avere il controllo del board. Ma non è l’unica partita «strategica» per il fondo Usa, che in Italia ha anche un piede nel Milan, tramite il prestito da 303 milioni accordato ad aprile dello scorso anno all’imprendito­re cinese Yonghong Li (a un tasso dell’11% per l’alto profilo di rischio riscontrat­o dagli analisti di Elliott), per comprare la squadra milanese. Questa volta a spingere Singer verso l’operazione sembra sia stata la sua passione per il calcio, in particolar­e per l’arsenal di cui il miliardari­o (che può vantare anche una laurea in psicologia e una in legge) è tifoso sfegatato. Come garanzia Paul Singer ha in pegno le azioni del Milan e nel caso in cui a ottobre di quest’anno il prestito non verrà rimborsato, il miliardari­o potrà riscattare il Milan alla metà del prezzo speso da Li che ha sborsato circa 700 milioni per rilanciare la ex squadra di Silvio Berlusconi. Il coinvolgim­ento di Elliott ha alimentato speculazio­ni su un legame tra la partita su Tim e il futuro di Mediaset, con cui Vivendi aveva cercato un accordo strategico, passando per Premium, poi sfociato in una causa in Tribunale.

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Hyundai Elliott ha acquistato azioni per oltre un miliardo di dollari di Hyundai Motor
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Elliott ha finanziato Yonghong Li, patron del (nella foto Donnarumma)
Milan Elliott ha finanziato Yonghong Li, patron del (nella foto Donnarumma)
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Ansaldo Sts La sede dell’ansaldo a Genova, società di cui il fondo Elliott ha il 31%

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