E nessuno sarà mai più invulnerabile
Quello che è successo all’accademia di Stoccolma è uno choc salutare, che dà coraggio. E soprattutto ci dice che non esistono «nicchie civili».
Il Premio Nobel che ufficialmente salta per una brutta storia di molestie sessuali reiterate dimostra che non ci sono più luoghi invulnerabili e protetti da un’onda tumultuosa che ha travolto distinzioni e barriere sociali, culturali, antropologiche. E dimostra che la pratica della sopraffazione di genere non conosce diversità tra «progressisti» e «conservatori», destra e sinistra, colti ed incolti. E inoltre dimostra che la favola delle nicchie civili che si salverebbero in un mondo rozzo e grossolano e manesco e spudoratamente violento è appunto solo una favola edificante.
Il produttore cinematografico così vicino alle famiglie Clinton e Obama non è poi così antropologicamente diverso dal presidente della Casa Bianca invischiato in una storia di soldi con cui pagare il silenzio di una pornostar. Le organizzazioni non governative che portano aiuto alla popolazione di Haiti affamata e stremata da un terremoto apocalittico non appaiono così distanti dai militari che nelle zone di guerra trattano le donne come un bottino di cui disporre senza limiti. E ora il Nobel della Corona, il regno della cultura e dell’arte e della scienza, il tempio del sapere, l’altare laico dove ogni anno, con cerimonie sfarzose e affascinanti in abito scuro si celebrano le altezze del pensiero, viene macchiato da una storiaccia in cui uno degli animatori più prestigiosi della vita culturale svedese appare come un molestatore seriale, protetto da una moglie che pagava con il silenzio il prezzo della sua permanenza nell’accademia di Stoccolma. Per un anno, si salta il turno. E’ uno choc culturale, ma non è detto che sia inutile.
Partito con il #metoo all’indomani del caso
Weinstein, la guerra contro le molestie e le discriminazioni subite dalle donne si è trasformata in un’ondata globale che ha smantellato confini e divisioni geografiche, confessioni religiose e appartenenze politiche. In una capitale del tradizionalismo culturale, il Giappone, le vessazioni maschili non sono più impunite, anche nei vertici della politica. Persino in Cina, regno del dispotismo politico, affiorano i primi frammenti di un movimento delle donne impensabile fino a pochi mesi fa. E colpisce la protesta delle Carmelitane spagnole che dalla loro clausura fanno conoscere lo sdegno per l’impunità riservata in un recente processo a un branco di stupratori: #yositecreo.
Purtroppo una cappa di plumbea omertà circonda ancora il sistema di soprusi innominabili — ragazze cui è vietata la scuola e l’accesso alla cultura, veli che seppelliscono i corpi, subordinazione totale e umiliante al potere dei maschi, lapidazioni delle «adultere», divieto di camminare da sole per strada senza il guinzaglio maschile, matrimoni obbligatori per le ragazzine di dodici anni — attualmente in vigore nei Paesi dominati dal fondamentalismo islamico. E sarebbe ora che nel mondo tutti, uomini e donne, una volta tanto uscissero dalla reticenza impaurita e vile per chiedere conto al governo di Teheran del destino di quella fantastica ragazza che nel corso di una manifestazione in Iran si è tolta sotto gli occhi di tutti il chador che la imprigionava.
Questo può essere il momento di rivolgersi a milioni e milioni di donne ancora vittime del sopruso più bieco. E forse la sospensione di un Premio conosciuto in tutto il mondo come il Nobel può dare coraggio, può favorire l’uscita allo scoperto di chi, nei luoghi meno illuminati dai riflettori della notorietà, ha conosciuto l’abuso di potere e il ricatto sessuale come pratica abituale in tutte le latitudini. La sospensione del Nobel è un simbolo, è una linea di demarcazione simbolica che divide un prima da un dopo. Troveranno certamente le procedure necessarie per riavviare la macchina del Premio. Nel frattempo un prevaricatore non l’ha fatta franca. Uno che con il gioco della seduzione, quello vero, non aveva niente da spartire, ma voleva solo sperimentare il brivido dell’impunità del potere. Quell’impunità, per lui e per quelli come lui, non esiste più. Forse. E se il prezzo da pagare è una cerimonia in meno a Stoccolma, non sembra un prezzo esorbitante.