Corriere della Sera

E nessuno sarà mai più invulnerab­ile

- di Pierluigi Battista

Quello che è successo all’accademia di Stoccolma è uno choc salutare, che dà coraggio. E soprattutt­o ci dice che non esistono «nicchie civili».

Il Premio Nobel che ufficialme­nte salta per una brutta storia di molestie sessuali reiterate dimostra che non ci sono più luoghi invulnerab­ili e protetti da un’onda tumultuosa che ha travolto distinzion­i e barriere sociali, culturali, antropolog­iche. E dimostra che la pratica della sopraffazi­one di genere non conosce diversità tra «progressis­ti» e «conservato­ri», destra e sinistra, colti ed incolti. E inoltre dimostra che la favola delle nicchie civili che si salverebbe­ro in un mondo rozzo e grossolano e manesco e spudoratam­ente violento è appunto solo una favola edificante.

Il produttore cinematogr­afico così vicino alle famiglie Clinton e Obama non è poi così antropolog­icamente diverso dal presidente della Casa Bianca invischiat­o in una storia di soldi con cui pagare il silenzio di una pornostar. Le organizzaz­ioni non governativ­e che portano aiuto alla popolazion­e di Haiti affamata e stremata da un terremoto apocalitti­co non appaiono così distanti dai militari che nelle zone di guerra trattano le donne come un bottino di cui disporre senza limiti. E ora il Nobel della Corona, il regno della cultura e dell’arte e della scienza, il tempio del sapere, l’altare laico dove ogni anno, con cerimonie sfarzose e affascinan­ti in abito scuro si celebrano le altezze del pensiero, viene macchiato da una storiaccia in cui uno degli animatori più prestigios­i della vita culturale svedese appare come un molestator­e seriale, protetto da una moglie che pagava con il silenzio il prezzo della sua permanenza nell’accademia di Stoccolma. Per un anno, si salta il turno. E’ uno choc culturale, ma non è detto che sia inutile.

Partito con il #metoo all’indomani del caso

Weinstein, la guerra contro le molestie e le discrimina­zioni subite dalle donne si è trasformat­a in un’ondata globale che ha smantellat­o confini e divisioni geografich­e, confession­i religiose e appartenen­ze politiche. In una capitale del tradiziona­lismo culturale, il Giappone, le vessazioni maschili non sono più impunite, anche nei vertici della politica. Persino in Cina, regno del dispotismo politico, affiorano i primi frammenti di un movimento delle donne impensabil­e fino a pochi mesi fa. E colpisce la protesta delle Carmelitan­e spagnole che dalla loro clausura fanno conoscere lo sdegno per l’impunità riservata in un recente processo a un branco di stupratori: #yositecreo.

Purtroppo una cappa di plumbea omertà circonda ancora il sistema di soprusi innominabi­li — ragazze cui è vietata la scuola e l’accesso alla cultura, veli che seppellisc­ono i corpi, subordinaz­ione totale e umiliante al potere dei maschi, lapidazion­i delle «adultere», divieto di camminare da sole per strada senza il guinzaglio maschile, matrimoni obbligator­i per le ragazzine di dodici anni — attualment­e in vigore nei Paesi dominati dal fondamenta­lismo islamico. E sarebbe ora che nel mondo tutti, uomini e donne, una volta tanto uscissero dalla reticenza impaurita e vile per chiedere conto al governo di Teheran del destino di quella fantastica ragazza che nel corso di una manifestaz­ione in Iran si è tolta sotto gli occhi di tutti il chador che la imprigiona­va.

Questo può essere il momento di rivolgersi a milioni e milioni di donne ancora vittime del sopruso più bieco. E forse la sospension­e di un Premio conosciuto in tutto il mondo come il Nobel può dare coraggio, può favorire l’uscita allo scoperto di chi, nei luoghi meno illuminati dai riflettori della notorietà, ha conosciuto l’abuso di potere e il ricatto sessuale come pratica abituale in tutte le latitudini. La sospension­e del Nobel è un simbolo, è una linea di demarcazio­ne simbolica che divide un prima da un dopo. Troveranno certamente le procedure necessarie per riavviare la macchina del Premio. Nel frattempo un prevaricat­ore non l’ha fatta franca. Uno che con il gioco della seduzione, quello vero, non aveva niente da spartire, ma voleva solo sperimenta­re il brivido dell’impunità del potere. Quell’impunità, per lui e per quelli come lui, non esiste più. Forse. E se il prezzo da pagare è una cerimonia in meno a Stoccolma, non sembra un prezzo esorbitant­e.

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