Ma una società non va avanti a colpi di ribaltoni
C’è poco da fare, la sindrome di Ludovico Sforza detto il Moro è dura a passare. Affidarsi allo straniero (in quel caso al francese Carlo VIII), quasi mai ha portato fortuna all’italia.
Abbiamo tranquillamente assistito alla scalata di un francese, Vincent Bolloré, alla ex Telecom oggi Tim. Poi all’irruzione dell’ennesimo straniero, l’hedge fund Elliott, definito con accezione negativa in italiano fondo «speculativo», mentre forse sarebbe meglio chiamarlo «opportunista». Fondo che ieri, nominando gran parte del consiglio d’amministrazione, ha preso di fatto il controllo dell’azienda. In molti si saranno detti: «Ben venga Elliott se ha fatto da detonatore a una situazione tutt’altro che positiva per un gruppo così strategico». Nella generale tendenza nazionale a dividersi e a farsi la guerra. più che a trovare soluzioni, la tentazione di pensarla così sarà stata forte. E così, sentendosi già tutti in battaglia, è stato unanime il plauso all’intervento della Cassa depositi e prestiti, una delle braccia più potenti dell’intervento pubblico nazionale.
Tutto ciò dimenticando, forse, che un fondo opportunista come Elliott cerca appunto opportunità per valorizzare il proprio investimento. Che può significare tutto. Scorporare la rete, il maggiore attivo di Tim, per arrivare magari a costituirne una nazionale con l’altro pezzo che sta mettendo in piedi Open Fiber, società che vede la presenza di Cassa depositi e prestiti al 50%. Ma Elliott potrebbe pensare anche di cedere altri pezzi di Tim se ci fossero buone offerte o se ci fossero da architettare operazioni finanziarie che «valorizzino» l’investimento. Attenzione, sottolineare i rischi legati alla nuova situazione non significa dire bene della gestione Bolloré e dei suoi tanti errori: il costoso turn over dei manager, la poca chiarezza strategica e l’intreccio patologico e non virtuoso con la parallela scalata dei francesi a Mediaset. Il contrario. Dovrebbe servire a comprendere, come ha scritto Ferruccio de Bortoli su «L’economia» del 25 marzo scorso, che le vicende poco entusiasmanti di Telecom sono metafora di un Paese.
Un Paese che nelle vicende finanziarie tende a confondere tutti i ruoli. Azionisti, management, controllati e controllori. Il nuovo consiglio Tim è di alto profilo. Ma, scottati come siamo dalla storia, la domanda è d’obbligo: gli azionisti saranno capaci di mettere fine alla maledizione della ex Telecom e di farlo lavorare nell’interesse dell’azienda e non dei suoi soci?