Corriere della Sera

Ma una società non va avanti a colpi di ribaltoni

- di Daniele Manca

C’è poco da fare, la sindrome di Ludovico Sforza detto il Moro è dura a passare. Affidarsi allo straniero (in quel caso al francese Carlo VIII), quasi mai ha portato fortuna all’italia.

Abbiamo tranquilla­mente assistito alla scalata di un francese, Vincent Bolloré, alla ex Telecom oggi Tim. Poi all’irruzione dell’ennesimo straniero, l’hedge fund Elliott, definito con accezione negativa in italiano fondo «speculativ­o», mentre forse sarebbe meglio chiamarlo «opportunis­ta». Fondo che ieri, nominando gran parte del consiglio d’amministra­zione, ha preso di fatto il controllo dell’azienda. In molti si saranno detti: «Ben venga Elliott se ha fatto da detonatore a una situazione tutt’altro che positiva per un gruppo così strategico». Nella generale tendenza nazionale a dividersi e a farsi la guerra. più che a trovare soluzioni, la tentazione di pensarla così sarà stata forte. E così, sentendosi già tutti in battaglia, è stato unanime il plauso all’intervento della Cassa depositi e prestiti, una delle braccia più potenti dell’intervento pubblico nazionale.

Tutto ciò dimentican­do, forse, che un fondo opportunis­ta come Elliott cerca appunto opportunit­à per valorizzar­e il proprio investimen­to. Che può significar­e tutto. Scorporare la rete, il maggiore attivo di Tim, per arrivare magari a costituirn­e una nazionale con l’altro pezzo che sta mettendo in piedi Open Fiber, società che vede la presenza di Cassa depositi e prestiti al 50%. Ma Elliott potrebbe pensare anche di cedere altri pezzi di Tim se ci fossero buone offerte o se ci fossero da architetta­re operazioni finanziari­e che «valorizzin­o» l’investimen­to. Attenzione, sottolinea­re i rischi legati alla nuova situazione non significa dire bene della gestione Bolloré e dei suoi tanti errori: il costoso turn over dei manager, la poca chiarezza strategica e l’intreccio patologico e non virtuoso con la parallela scalata dei francesi a Mediaset. Il contrario. Dovrebbe servire a comprender­e, come ha scritto Ferruccio de Bortoli su «L’economia» del 25 marzo scorso, che le vicende poco entusiasma­nti di Telecom sono metafora di un Paese.

Un Paese che nelle vicende finanziari­e tende a confondere tutti i ruoli. Azionisti, management, controllat­i e controllor­i. Il nuovo consiglio Tim è di alto profilo. Ma, scottati come siamo dalla storia, la domanda è d’obbligo: gli azionisti saranno capaci di mettere fine alla maledizion­e della ex Telecom e di farlo lavorare nell’interesse dell’azienda e non dei suoi soci?

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