«I francesi in Telecom? Hanno fatto i ganassa» Calenda prepara la multa per la «golden power»
Aveva detto che i francesi di Vivendi erano stati un «pessimo azionista» per Tim. E, a battaglia conclusa, il ministro uscente dello Sviluppo economico Carlo Calenda conferma il suo giudizio. Anzi, ci mette anche il carico di un’espressione colorita, forse meno precisa, certo più efficace: «Hanno fatto malissimo, hanno fatto i ganassa». C’è un clima da missione compiuta nel palazzone di Via Veneto, sede del ministero.
L’assemblea dei soci di Tim ha assegnato al fondo Elliott la maggioranza relativa nel consiglio di amministrazione della società, togliendo il comando ai francesi di Vivendi. La linea del governo è quella tenuta pubblicamente in queste settimane: non si tratta di un fallo di reazione contro i francesi, il disegno punta a creare una public company, una società ad azionariato diffuso con la presenza ma non il controllo da parte dello Stato. Come scrive lo stesso ministro su Twitter, «performance di Borsa a parte, importante che diventi una vera public company, che i conflitti di interesse con gli azionisti non la danneggino più e che si acceleri su separazione rete. Monitoreremo con attenzione». Ufficialmente non è una battaglia tra Italia e Francia, con la sponda del fondo americano. O almeno non deve apparire come tale. Anche perché gli intrecci tra Roma e Parigi sono tantissimi, basta pensare ai cantieri navali Stx e al tormentato accordo raggiunto con Fincantieri. E le ritorsioni sempre possibili, specie con un Paese come la Francia che il nazionalismo economico l’ha sempre teorizzato e praticato. Anche in questa storia.
Perché è vero che la Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Tesoro, è entrata nel capitale di Tim preparando il terreno all’operazione chiusa ieri. Ma è anche vero che la Caisse des dèpôts et consignations, l’omologa istituzione francese, ha risposto per le rime: detiene lo 0,7% delle azioni di Tim e ieri, su indicazione del governo francese, ha concentrato i suoi voti proprio su Vivendi. Una partita a scacchi senza esclusione di colpi. Vivendi ha accusato l’italia di «ostilità». Calenda ribatte che non si tratta di «ostilità» ma di una «buona operazione di sistema». Essere favorevole agli investimenti esteri, ribadisce il ministro, non vuol dire voltarsi dall’altra parte quando quegli stessi investimenti «distruggono valore invece di crearlo».
Se non è una guerra, insomma, le somiglia parecchio. E nei prossimi giorni potrebbe esserci un’altra fiammata. A breve dovrebbe arrivare la sanzione per la mancata notifica al governo italiano del controllo su Tim da parte di Vivendi. La procedura sulla golden power, i poteri speciali che consentono al governo di «blindare» una società qualora sia in pericolo l’interesse nazionale, era stata rinviata di un mese proprio per scavallare l’assemblea di ieri. Ma nuovi slittamenti non sono possibili, altrimenti c’è il rischio che il comitato per i poteri speciali che ha seguito il dossier incappi nell’accusa di danno erariale.