Lo schema con il premier di «tregua» e i ministri di tutte le aree politiche
Senza la fiducia all’esecutivo urne in autunno. E il rischio che il Quirinale resti logorato
Siamo all’ultimo miglio. Insidiosissimo, perché a questo punto è lo stesso Quirinale a rischiare un logoramento e Sergio Mattarella un’ingiusta delegittimazione della propria autorità morale. Un po’ come quando — ipotesi di scuola — un capo dello Stato rinvia alle Camere una legge, con la richiesta di una nuova deliberazione, e l’aula gliela ripresenta identica, senza ascoltarlo. Così, qualora dal consulto di lunedì non emergano intese per un esecutivo politico (e sul Colle non se ne aspettano più), resterebbe solo la proposta, fatta trapelare l’altra sera, di un governo di tutti e di nessuno. Un «governo di tregua» che, se non ottenesse la fiducia del Parlamento e non fosse dunque in grado di traghettarci fino alla prossima primavera, si trasformerebbe in governo elettorale, limitandosi a portarci alle urne tra settembre e ottobre. Un esito che decreterebbe, oltre al fallimento dei partiti, una ferita all’istituzione, il presidente della Repubblica, che ha suggerito quella via d’uscita per assicurare funzionalità al Parlamento e scongiurare una crisi di sistema.
Ecco perché, in questa tesa vigilia, nell’entourage di Mattarella tira un’aria preoccupata. Divenuta ancor più inquieta per certe sortite polemiche di ieri, in primis quella di Beppe Grillo, che ha rispolverato la sua vecchia idea di un referendum sull’euro.
Fra quarantott’ore il capo dello Stato sentirà le forze politiche per un’esplorazione ormai platonica, visto che molti continuano a baloccarsi tra veti, dispetti e smarcamenti tattici. È però pronto a sfidare tutti con una mossa. Presentando cioè il nome di un uomo, o di una donna, con il profilo adatto ad affrontare l’emergenza economico-finanziaria che incombe sull’italia (legge di Bilancio e aumento dell’iva, insieme a certi appuntamenti dell’ue) per la quale ha deciso di prendere l’iniziativa, attraverso l’indicazione di un premier che sia impossibile bocciare. Si sa già che pensa alla figura di un civil servant nel ruolo di premier, con adeguata preparazione in campo economico e giuridico, autorevole anche in Europa e sopra le parti. Uno di cui sia riconosciuto lo spirito di servizio e che non sia dunque sospettabile di lavorare per sé.
Ma quale fisionomia dovranno avere coloro che, in veste di ministri, lo affiancheranno a Palazzo Chigi?
Il presidente, fermo restando che le scelte dovranno essergli sottoposte per un vaglio dal futuro premier, non ha in mente dei tecnici tout court (la stessa parola tecnici non viene mai evocata, sul Colle, per evitare dei no pregiudiziali). Sembra comunque logico che si attenda personalità competenti delle diverse aree politiche, perché sarebbe il criterio migliore per allargare il consenso e non far percepire il nuovo governo come calato dall’alto. Di più: poiché i partiti rivendicheranno ancora il bisogno di garanzie, specie quelli che insistono per il voto «al più presto», la sua ipotesi per un largo accordo potrebbe indicare una data di scadenza fin dal concepimento dell’esecutivo. Esecutivo che, se riuscisse a cambiare pure la legge elettorale (che dipende dal Parlamento, non dai governi), sul Colle sarebbe benedetto, considerata l’ingovernabilità prodotta dal Rosatellum.
Intanto, mentre i partiti si estenuano in nevrotici confronti, tra gli intimi del Quirinale si insinuano riflessioni allarmanti per la nostra società. Ad esempio sul voto in Friuli Venezia Giulia: che cosa significa il forte calo dei 5 Stelle? Che in questa fase, chiunque si spende per governare (come appunto i 5 Stelle) è penalizzato dal corpo elettorale, dove non c’è alcuna voglia di sentirsi dire da un esecutivo responsabilmente in carica quali sono i passi necessari per continuare sulla via del risanamento. Insomma: il Paese è stanco, per cui esprime solo rifiuti generalizzati e le forze politiche non hanno capacità pedagogiche. Anzi, purtroppo finora hanno giocato col fuoco. E continuano a farlo.